Buono-scuola, troppo bello per essere vero

di Fausto Carioti

Dubitare è lecito, anche perché non è la prima volta che in un governo guidato da Silvio Berlusconi si parla di buono-scuola, e sinora si sa come è andata. Però Mariastella Gelmini che annuncia «una riforma che dia la possibilità di accedere a un bonus» a chi vuole frequentare le scuole non statali è una gran bella notizia. La speranza è che il ministro dell’Istruzione mantenga l’impegno e che questa sia la volta buona: ne guadagnerebbero le famiglie, prime tra tutte quelle più povere, e l’intero sistema scolastico. Oltretutto sarebbe una mossa politica azzeccata, e lo dimostrano le reazioni imbufalite con cui gli esponenti del Pd e della Cgil hanno subito accolto la proposta della Gelmini. Da un lato ci sarebbe un governo di centrodestra che fa una cosa davvero “di sinistra”, come dare a tutti i ragazzi, anche quelli di origini più umili, le stesse possibilità dei loro coetanei più ricchi. Mentre sulla sponda opposta il centrosinistra, tra l’aiuto alle famiglie e gli interessi corporativi degli insegnanti statali, si troverebbe ancora una volta schiacciato sui secondi, sul fronte dei conservatori. Vedremo se davvero il governo saprà cogliere questa occasione.

Il buono-scuola fu “inventato” nel 1955 dall’economista liberista Milton Friedman, che avrebbe vinto il Nobel nel 1976. In un articolo intitolato “Il ruolo del governo nell’educazione”, Friedman spiegava così la sua idea: «Il governo, preferibilmente attraverso le amministrazioni locali, darebbe a ogni ragazzo, attraverso i suoi genitori, una certa somma, da spendere unicamente per pagare la sua istruzione obbligatoria; i genitori sarebbero liberi di spendere questa somma in scuole di loro scelta, a patto che soddisfino certi standard minimi richiesti dalla pubblica amministrazione. Simili scuole potrebbero essere gestite da istituzioni private, ordini religiosi e anche dalla pubblica amministrazione».

I vantaggi sarebbero di due tipi. Il primo, immediato, consisterebbe nel dare ai figli delle famiglie di reddito più basso la possibilità di frequentare - pagandole in tutto o in parte con il voucher - le scuole che ritengono migliori, anche se non sono statali. Ma questo, come spiegava Friedman alla rivista libertarian Reason nel 2005 (un anno prima di morire), più che un buono-scuola è un “buono-carità”. Se si vuole davvero riformare il sistema scolastico occorre dare il buono a tutte le famiglie, non solo a quelle più povere. In questo modo si metterebbero in concorrenza tra loro tutti gli istituti, sia che a gestirli siano le amministrazioni locali, il governo, imprese private, enti no-profit o ordini religiosi. Così i migliori istituti andrebbero avanti, i peggiori innalzerebbero i loro standard o chiuderebbero i battenti.

Proprio questo è il timore diffuso nella sinistra italiana: che le scuole statali non siano in grado di reggere la concorrenza ad armi pari con gli altri istituti, e che a pagarne il prezzo siano gli insegnanti di Stato. I quali, in certi ambienti, contano molto più degli alunni. La Cgil accusa infatti la Gelmini di voler «distruggere la scuola pubblica per far posto alle private». Mentre per il Pd, dove malgrado le ripetizioni serali sono ancora all’Abc del libero mercato, l’intento del ministro è quello di «realizzare quel dualismo nell’istruzione (scuole di serie A e scuole di serie B) che in Italia non si è mai attuato». Il che è pura ipocrisia, visto che è il sistema attuale ad essere classista ed antidemocratico. Oggi le famiglie abbienti, che possono permettersi la libertà di scegliere tra più istituti, iscrivono i figli alle scuole migliori, mentre per tutte le altre famiglie la scelta è obbligata. Il buono-scuola, invece, darebbe libertà di scelta a tutte. E a guadagnarci, ovviamente, sarebbe chi oggi questa libertà non ce l’ha.

Persino Antonio Gramsci aveva capito che la scuola libera sarebbe stato un potente fattore di mobilità sociale. Nel 1918 scriveva: «Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato». Novant’anni dopo, davanti alla scuola la sinistra italiana si rivela più statalista di allora.

© Libero. Pubblicato il 19 giugno 2009.

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