Scontro tra Brunetta e Tremonti
di Fausto Carioti
Renato Brunetta è pronto a dimettersi. «Ho messo a disposizione il mio mandato, in questo momento non so se sono ancora ministro», dice il responsabile della Pubblica amministrazione. Non fa nomi, ma la polemica è con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Anche se il vero destinatario dello sfogo, ovviamente, è Silvio Berlusconi. Il motivo del contendere è politico: ci sono «resistenze» al decreto legislativo che dovrà attuare la riforma della pubblica amministrazione, il provvedimento al quale Brunetta tiene di più. E queste «resistenze», ha detto ieri Brunetta a Fiuggi, al congresso dei dipendenti pubblici della Cisl, «non arrivano dal sindacato, ma dall’interno del mio governo». Due, in particolare, le novità su cui Tremonti si è messo di traverso. La prima, più importante, è l’autorità che dovrà valutare l’efficienza dei dipendenti statali. La seconda è l’introduzione della “class action” nella pubblica amministrazione.
Un passo indietro. Il 15 marzo il Parlamento ha approvato la legge che dà al governo la delega per introdurre «efficienza e trasparenza» nella pubblica amministrazione. Ora questa legge, per diventare operativa, ha bisogno dell’approvazione del decreto legislativo. Il testo è stato approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri l’8 maggio e dovrà fare il giro delle sette chiese (Conferenza unificata per la valutazione da parte di Regioni ed enti locali, Cnel, commissioni parlamentari) prima di tornare a palazzo Chigi per l’approvazione definitiva. Brunetta, nei giorni scorsi, ha posto un ultimatum: «O si chiude entro sessanta giorni o io me ne vado». Con chi ce l’aveva, lo ha fatto capire ieri.
Già esaminando il decreto una settimana fa, infatti, Tremonti si era detto perplesso. E in questi giorni ha fatto sapere che non intende dare la sua approvazione al provvedimento. Almeno non così come lo ha scritto Brunetta. Al momento, il controllo economico sull’amministrazione pubblica e la gestione del personale ricade sotto il ministero di Tremonti (quello di Brunetta è un dicastero senza portafoglio, collocato sotto l’ombrello di palazzo Chigi). Ma nel momento in cui dovesse diventare operativa l’«Autorità indipendente per la valutazione dell’efficienza delle procedure» voluta da Brunetta (composta da cinque esperti proposti dal ministero per la Pubblica amministrazione e da quello per l’Attuazione del programma), le leve che comandano la burocrazia si sposterebbero verso Palazzo Chigi. Anche perché la nuova authority dovrà dettare i criteri per stilare l’elenco dei “buoni” (il 25% dei dipendenti pubblici che avranno il massimo del premio di produttività), dei “discreti” (il 50% dei travet con meriti inferiori, che riceveranno metà del premio) e dei “cattivi” (quelli che resteranno a bocca asciutta). Insomma, il potere vero sarà lì.
Gianni Letta concorda sull’esigenza di riportare sotto la presidenza del consiglio il controllo della pubblica amministrazione. Del resto, quando il ministro Claudio Scajola si è scontrato con Tremonti sulla gestione del fondo da 9 miliardi per l’economia reale, Letta ne ha approfittato per portare quei soldi sotto la gestione di palazzo Chigi. E sempre Letta, in vista del G8, ha creato uno staff di giovani economisti, posto alle dipendenze dirette della presidenza del consiglio, il cui compito non ufficiale è proprio quello di ripassare le bucce al ministero dell’Economia.
Il resto delle perplessità di Tremonti sono legate alla “class action” disegnata da Brunetta, che prevede non il risarcimento del danno causato dai disservizi degli uffici pubblici, ma il ripristino di un servizio efficiente. Il rischio politico, qui, è che la “class action” del settore statale faccia da battistrada per qualcosa di analogo, e magari più rigoroso, nel privato. E si sa che il governo intende andare molto cauto sull’argomento. La questione, però, non sembra essere decisiva, e con ogni probabilità è usata da Tremonti per allargare il fronte con Brunetta. Le stesse aziende private, del resto, avevano fatto una forte azione di lobbying nei confronti del ministro, ma alla fine avevano accettato il testo.
Per Tremonti inizia così un nuovo braccio di ferro, dopo quello con lo stesso Berlusconi, poco entusiasta per la risicata copertura economica messa a disposizione dal ministro per la ricostruzione dell’Abruzzo. E tutto questo negli stessi giorni in cui Giuseppe Vegas, fedelissimo del Cavaliere, è diventato, quasi a sorpresa, viceministro dell’Economia. Le spalle di Tremonti sono larghe, ma Brunetta non è tipo da cedere sulla sua riforma più importante. Molto dipenderà dalla voglia di mediazione del Cavaliere. Il fatto che ieri Berlusconi abbia detto che tra lui e Tremonti c’è «totale sintonia» può tranquillizzare il superministro, ma - visti i precedenti - fino a un certo punto.
© Libero. Pubblicato il 14 maggio 2009.
Renato Brunetta è pronto a dimettersi. «Ho messo a disposizione il mio mandato, in questo momento non so se sono ancora ministro», dice il responsabile della Pubblica amministrazione. Non fa nomi, ma la polemica è con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Anche se il vero destinatario dello sfogo, ovviamente, è Silvio Berlusconi. Il motivo del contendere è politico: ci sono «resistenze» al decreto legislativo che dovrà attuare la riforma della pubblica amministrazione, il provvedimento al quale Brunetta tiene di più. E queste «resistenze», ha detto ieri Brunetta a Fiuggi, al congresso dei dipendenti pubblici della Cisl, «non arrivano dal sindacato, ma dall’interno del mio governo». Due, in particolare, le novità su cui Tremonti si è messo di traverso. La prima, più importante, è l’autorità che dovrà valutare l’efficienza dei dipendenti statali. La seconda è l’introduzione della “class action” nella pubblica amministrazione.
Un passo indietro. Il 15 marzo il Parlamento ha approvato la legge che dà al governo la delega per introdurre «efficienza e trasparenza» nella pubblica amministrazione. Ora questa legge, per diventare operativa, ha bisogno dell’approvazione del decreto legislativo. Il testo è stato approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri l’8 maggio e dovrà fare il giro delle sette chiese (Conferenza unificata per la valutazione da parte di Regioni ed enti locali, Cnel, commissioni parlamentari) prima di tornare a palazzo Chigi per l’approvazione definitiva. Brunetta, nei giorni scorsi, ha posto un ultimatum: «O si chiude entro sessanta giorni o io me ne vado». Con chi ce l’aveva, lo ha fatto capire ieri.
Già esaminando il decreto una settimana fa, infatti, Tremonti si era detto perplesso. E in questi giorni ha fatto sapere che non intende dare la sua approvazione al provvedimento. Almeno non così come lo ha scritto Brunetta. Al momento, il controllo economico sull’amministrazione pubblica e la gestione del personale ricade sotto il ministero di Tremonti (quello di Brunetta è un dicastero senza portafoglio, collocato sotto l’ombrello di palazzo Chigi). Ma nel momento in cui dovesse diventare operativa l’«Autorità indipendente per la valutazione dell’efficienza delle procedure» voluta da Brunetta (composta da cinque esperti proposti dal ministero per la Pubblica amministrazione e da quello per l’Attuazione del programma), le leve che comandano la burocrazia si sposterebbero verso Palazzo Chigi. Anche perché la nuova authority dovrà dettare i criteri per stilare l’elenco dei “buoni” (il 25% dei dipendenti pubblici che avranno il massimo del premio di produttività), dei “discreti” (il 50% dei travet con meriti inferiori, che riceveranno metà del premio) e dei “cattivi” (quelli che resteranno a bocca asciutta). Insomma, il potere vero sarà lì.
Gianni Letta concorda sull’esigenza di riportare sotto la presidenza del consiglio il controllo della pubblica amministrazione. Del resto, quando il ministro Claudio Scajola si è scontrato con Tremonti sulla gestione del fondo da 9 miliardi per l’economia reale, Letta ne ha approfittato per portare quei soldi sotto la gestione di palazzo Chigi. E sempre Letta, in vista del G8, ha creato uno staff di giovani economisti, posto alle dipendenze dirette della presidenza del consiglio, il cui compito non ufficiale è proprio quello di ripassare le bucce al ministero dell’Economia.
Il resto delle perplessità di Tremonti sono legate alla “class action” disegnata da Brunetta, che prevede non il risarcimento del danno causato dai disservizi degli uffici pubblici, ma il ripristino di un servizio efficiente. Il rischio politico, qui, è che la “class action” del settore statale faccia da battistrada per qualcosa di analogo, e magari più rigoroso, nel privato. E si sa che il governo intende andare molto cauto sull’argomento. La questione, però, non sembra essere decisiva, e con ogni probabilità è usata da Tremonti per allargare il fronte con Brunetta. Le stesse aziende private, del resto, avevano fatto una forte azione di lobbying nei confronti del ministro, ma alla fine avevano accettato il testo.
Per Tremonti inizia così un nuovo braccio di ferro, dopo quello con lo stesso Berlusconi, poco entusiasta per la risicata copertura economica messa a disposizione dal ministro per la ricostruzione dell’Abruzzo. E tutto questo negli stessi giorni in cui Giuseppe Vegas, fedelissimo del Cavaliere, è diventato, quasi a sorpresa, viceministro dell’Economia. Le spalle di Tremonti sono larghe, ma Brunetta non è tipo da cedere sulla sua riforma più importante. Molto dipenderà dalla voglia di mediazione del Cavaliere. Il fatto che ieri Berlusconi abbia detto che tra lui e Tremonti c’è «totale sintonia» può tranquillizzare il superministro, ma - visti i precedenti - fino a un certo punto.
© Libero. Pubblicato il 14 maggio 2009.