Da Draghi un allarme e un invito al governo

di Fausto Carioti

Al governo, ieri Mario Draghi ha lanciato un allarme e un invito. Il primo riguarda molto da vicino quaranta milioni di contribuenti: è l’allarme tasse. All’uscita dalla crisi, ha detto il governatore della Banca d’Italia, «vi è il rischio che sull’economia gravi a lungo una pressione fiscale molto elevata». Va da sé che si tratta di un rischio da evitare, visto che le tasse in Italia sono già a livelli troppo alti. L’invito è più sommesso, ma altrettanto importante: il governo può e deve osare di più per aiutare le categorie colpite dalla crisi. In altre parole, se oggi gli ammortizzatori sociali puntano soprattutto a difendere il perimetro degli occupati, mantenendoli legati alle imprese tramite la cassa integrazione, presto dovranno estendersi pure a chi è senza lavoro. Anche perché il tasso di disoccupazione, da qui al termine della crisi, tornerà ad essere superiore al 10%.
Chiedere al governo di evitare l’aumento delle imposte e allo stesso tempo di ricorrere alla spesa pubblica per estendere la protezione a chi non ce l’ha sembra una contraddizione. Ma non lo è. A tenere insieme le due cose c’è la vera riforma chiesta da Draghi a Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti: il varo immediato di un percorso certo e credibile di riduzione della spesa corrente, anche se capace di produrre effetti solo nel medio e lungo periodo.

L’analisi di Draghi prende per buono il presupposto del governo secondo il quale gli interventi varati sinora per proteggere famiglie e imprese non aumentano granché il debito pubblico e il deficit, perché consistono soprattutto nel riallocare la spesa pubblica già prevista. Resta il fatto che l’Italia, ha avvertito il numero uno di via Nazionale, al termine della crisi si troverà con un rapporto tra debito e Pil «ai livelli dei primi anni Novanta», ovvero superiore al 120% (per quest’anno il Tesoro ha previsto un debito pari al 114% del Pil). Tutti gli sforzi di risanamento compiuti negli ultimi lustri saranno così stati vanificati. Questo peggioramento, secondo Bankitalia, è dovuto in grandissima parte a fattori “endogeni” legati alla crisi. Primo tra tutti il calo del gettito tributario: «Nei primi quattro mesi del 2009», ha detto Draghi, «l’Iva riscossa è stata inferiore del 10 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente. L’imposta sui redditi delle imprese, scesa di oltre il 9 per cento nel 2008, potrebbe flettere in misura ancora maggiore nell’anno in corso». Solo il gettito dell’Irpef, al momento, tiene. Anche se il governo non allenterà i cordoni della borsa, in assenza di interventi l’incidenza della spesa pubblica sul Pil aumenterà comunque, a causa della riduzione di quest’ultimo.

Non basta. Bankitalia dà per scontato che il governo nei prossimi mesi sia chiamato ad allargare la platea dei tutelati dagli ammortizzatori sociali. Come ha detto Draghi, via Nazionale «stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento». Mentre «tra i lavoratori a tempo pieno del settore privato oltre 800mila, l’8 per cento dei potenziali beneficiari, hanno diritto a un’indennità inferiore a 500 euro al mese». Insomma, serve un sistema di protezione più ampio. Che ovviamente costa.
La quadra può essere raggiunta in un solo modo. Il governo - è la sostanza della relazione di Draghi - può spendere di più per gli interventi sociali necessari ad affrontare la crisi, persino aumentando debito pubblico e disavanzo, purché vari «subito» una riduzione della spesa corrente, «anche se con effetti differiti, senza rinvii a ulteriori atti normativi e a decisioni amministrative». In parole povere, si può iniziare a tagliare la spesa dopo che la crisi è passata, ma bisogna metterlo nero su bianco adesso, se non si vuole essere costretti ad aumentare la pressione fiscale nel momento in cui usciremo dal tunnel. Il che significherebbe compromettere la ripresa italiana prima ancora che possa partire.

Questa riforma della spesa pubblica potrà avvenire di pari passo con il federalismo fiscale, a patto che esso costringa gli enti locali più spendaccioni ad adeguarsi ai parametri dei migliori. Per mettere l’Italia in condizione di ripartire quando la crisi sarà finita, il resto dovrà arrivare dalla riforma della pubblica amministrazione (dalla quale Draghi si attende molto), dalla semplificazione delle leggi, dal miglioramento dell’istruzione e dal potenziamento delle grandi infrastrutture.

© Libero. Pubblicato il 30 maggio 2009.

Qui il testo integrale delle Considerazioni finali del governatore Mario Draghi.

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