Il piano di Berlusconi per fare fuori la Lega

di Fausto Carioti

«Se non ora, quando?». È il ragionamento in voga in questi giorni a palazzo Grazioli. Se non ora, quando si andrà allo scontro finale con la Lega? Quando si ripresenterà un’occasione simile per regolare i conti con l’ultimo alleato-avversario rimasto al PdL? Forse mai, di sicuro non con un Cavaliere così forte nei sondaggi (la rilevazione Ipsos per il Sole-24 Ore diffusa ieri dà il PdL al 40%) e con il principale partito d’opposizione che, invece di remargli contro, pare persino intenzionato ad aiutarlo. Tutta colpa (o merito) del referendum voluto da Mario Segni e Giovanni Guzzetta. Silvio Berlusconi sinora ha fatto poco o nulla per sostenerlo. Si è limitato a mandare in avanscoperta alcuni dei suoi, che due anni furono tra i primi a firmare la richiesta per chiedere di modificare la legge elettorale, assegnando la maggioranza dei seggi non più alla coalizione vincente, ma al singolo partito che ottiene più voti. Il risultato è che, se vincessero i referendari, al PdL basterebbe confermarsi primo partito per controllare il Parlamento. La Lega, che pure viaggia con il vento in poppa (il sondaggio Ipsos la dà al 10,3%), diventerebbe marginale. Berlusconi ci sta pensando su. E in lui cresce la tentazione di battersi per il referendum, vincerlo e mettersi così in condizione di avere la maggioranza assoluta dei seggi di Camera e Senato. Per poi, nella prossima legislatura (magari raggiunta attraverso elezioni anticipate) puntare sul Quirinale, se possibile dopo aver dato una ritoccatina alla Costituzione. Il Carroccio, che vede il referendum come una minaccia alla sua esistenza, ha buoni motivi per preoccuparsi.

Un primo passo Berlusconi l’ha già fatto. Ha annunciato che il 21 giugno andrà al seggio per votare «sì», proprio perché «il referendum dà un premio di maggioranza al partito più forte» e lui sarebbe masochista a non approfittarne. Non siamo ancora, però, ai preparativi di guerra veri e propri. Una battaglia per il referendum prevede rischi politici ingenti: se il premier e i suoi ci mettono la faccia sul serio e poi il quorum non viene raggiunto (il vero nemico è quello), l’immagine del Berlusconi che vince ogni sfida sarebbe rovinata e la Lega alzerebbe le sue pretese per le candidature alle regionali del 2010.

Si fosse votato il referendum il 7 giugno, giorno delle elezioni europee, il problema non si sarebbe posto, perché la maggioranza degli elettori sarebbe di sicuro andata ai seggi. Ma la Lega, con il ministro dell’Interno Roberto Maroni, è riuscita a impedirlo. Il 21 giugno è una data difficile, ma non impossibile. Quel giorno si voterà il secondo turno delle elezioni amministrative. In tutto andranno alle urne 63 province, incluse quelle di grandi città come Milano, Torino, Bologna, Venezia, Napoli e Bari, oltre a circa quattromila comuni. Prevedendo che la metà delle sfide provinciali finisca al ballottaggio, il referendum partirebbe con un minimo di elettori garantiti pari a circa il 20-25%. Qualcun altro potrebbe votarlo perché convinto da Franceschini, ma nel PdL non prevedono che il suo appello abbia grandi effetti. Il resto, quindi, dovrebbe portarlo alle urne il premier.

Un compito proibitivo? Per chiunque altro sì, ma non per lui. Osvaldo Napoli, vicecapogruppo del PdL e uomo abituato a tastare il polso al territorio, non ha dubbi: «Berlusconi oggi ha un consenso al di là di ogni previsione e, se le elezioni europee dovessero andare come si presume, è possibile che il giorno dopo voglia mettere il piede sull’acceleratore e puntare dritto verso il referendum. In questo caso il quorum sarebbe raggiunto di sicuro». Sul nesso tra risultato delle europee e impegno referendario concordano un po’ tutti. Lucio Malan, segretario di presidenza del Senato e responsabile per anni della propaganda berlusconiana, spiega che, «anche per non creare confusione, l’informazione vera sul referendum partirà dopo il 7 giugno. Berlusconi ha avuto governi stabili con due leggi elettorali diverse. Stavolta potrebbe essere il risultato delle europee a creare le condizioni per un’ulteriore semplificazione del quadro elettorale». Insomma, se il PdL dovesse davvero stravincere le europee, il Cavaliere sarebbe quasi obbligato a tentare il blitz due settimane dopo.

A quel punto il conflitto con la Lega diventerebbe insanabile. Gli uomini di Umberto Bossi hanno già annunciato ripercussioni sul governo. Anche per questo Fabrizio Cicchitto, capogruppo del PdL alla Camera, e Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo al Senato, stanno consigliando al Cavaliere di non tirare troppo la corda. I due, per inciso, debbono pure fare i conti con i loro parlamentari, che intravedono i primi segnali di possibili elezioni anticipate e non ne vogliono sentire parlare, poiché temono che molti di loro non sarebbero ricandidati.

Il partito dei falchi, però, è convinto che le armi del Carroccio siano spuntate. Se anche i leghisti facessero cadere l’esecutivo, infatti, una volta vinto il referendum il PdL potrebbe tornare al voto senza alleati avendo altissime probabilità di ottenere la maggioranza assoluta dei parlamentari. Certo, la rottura dell’alleanza tra PdL e Lega potrebbe ripercuotersi sulle giunte locali. Ma per il Carroccio sarebbe un’arma a doppio taglio, capace di far fuori anche molti dei suoi amministratori. Del resto, è anche per risolvere i problemi locali che nel PdL si sta pensando alla prova di forza. Come spiega uno degli uomini vicini al Cavaliere, «la partita per le regionali del 2010 è già iniziata. La Lega ci chiederà molto, più di quanto potremo dare. E il momento in cui si decidono i rapporti di potere tra noi e loro è questo».

In questo contesto, le parole dello spin doctor e deputato berlusconiano Giorgio Stracquadanio hanno il sapore di un aut-aut: «Sta anche a Bossi decidere quale può essere lo sviluppo dei rapporti con il PdL. Se comincia a ragionare sull’ipotesi di un legame simile a quello che unisce la Csu bavarese alla Cdu tedesca non è detto che il voto del referendum debba essere una resa dei conti tra noi e loro. Ma se la Lega continua a non considerare strategica la sua collocazione nel centrodestra e insiste con il suo atteggiamento opportunistico, allora saranno stati loro a cercare lo scontro».

© Libero. Pubblicato il 3 maggio 2009.

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