Il leader giusto per il Pd
di Fausto Carioti
Masticassero politica, invece di masticare sempre e solo bile, quelli del Pd si recherebbero davvero in delegazione alla villa di Macherio per offrire a Veronica Lario la leadership del loro partito. E «la signora», come la chiama il marito, farebbe bene ad accettare, visto che si tratterebbe di una semplice ufficializzazione del ruolo che già ricopre. La qualifica di leader morale dell’opposizione lei se l’è guadagnata sul campo. Un po’ per bravura e personalità (è l’unico essere umano in grado di imporsi su Silvio Berlusconi, come dimostra lo sbianchettamento notturno delle candidature per le europee). Un po’ per mancanza di alternative, causa morte politica - e in certi casi pure cerebrale - di ogni altro possibile leader della sinistra. Fu proprio Walter Veltroni a lanciarla per primo. «È “open minded”, è curiosa e ha una grande autonomia intellettuale. Ha una personalità di primissimo piano» disse di lei, invitandola a dare «un suo contributo» al Paese. E questa candidatura, ovviamente, bastò a stroncare ogni possibile ambizione politica della Lario. Ora che la testa di Veltroni è appesa nel salone dei trofei del marito, il discorso può ricominciare. E, per quanto possano cercare nomi migliori del suo, Massimo D’Alema e compagni non ne troveranno.
Intanto puntare su una donna, per una sinistra che tiene alle pari opportunità, alle quote rosa e a robe simili, ha un valore in sé. Scegliendola come leader e candidandola a premier, dimostrerebbero a se stessi e al mondo di aver accantonato sul serio ogni pregiudizio sessista. È anche una donna di una bellezza rassicurante, il che in politica non guasta, nemmeno a sinistra.
Certo, per fare il leader di un grande partito non basta l’aspetto. Ci vogliono le idee, che a sinistra dovrebbero essere laiche e progressiste. Ma è proprio qui che la signora dà il meglio di sé. Lo si è visto anche di recente, con il caso di Beppino Englaro, il padre di Eluana: «È stato linciato. Non doveva essere permessa una cosa del genere», ha detto la moglie del premier. Una posizione molto più chiara e virile, per dire, di quella assunta da Dario Franceschini e da tre quarti dello stato maggiore del Pd. Niente di nuovo: di recente si era espressa in favore del testamento biologico e nel giugno del 2005, quando si erano svolti i referendum per abrogare parte della legge 40 sulla fecondazione assistita, lei aveva respinto la richiesta del Vaticano di non andare a votare e si era presentata alle urne per mettere la croce sul “sì”. «Se da noi certe tecniche fossero proibite si andrebbe all’estero», aveva spiegato.
Due anni prima, quando no-global e pacifisti erano scesi in piazza contro la guerra americana in Iraq, lei li aveva difesi a spada tratta in un articolo apparso su Micromega, la bibbia dell’antiberlusconismo viscerale: «Non si possono criminalizzare i pacifisti. In un momento come questo la sola cosa che non possiamo permetterci è l’inconsapevolezza, il sonno». Nella stessa occasione si schierò in favore del fisco e dello stato sociale: «La gente paga volentieri le tasse se il sacrificio le consente di avere un’assistenza sanitaria garantita». Capito? Altro che giustificare l’evasione fiscale, come fa quel birbante del marito.
E la questione settentrionale, il grande nervo scoperto della sinistra italiana? Anche qui, Veronica ha le idee chiare: «C’è un Nord che vuole rompere gli argini e bisogna gestire le richieste della Lega senza guardare con folclore ai suoi rappresentanti», ha detto alla Stampa. Certo, il suo non sarà ancora un programma politico completo, ma se paragonato a quello di Franceschini sembra comunque scritto da François Mitterrand.
Veronica Lario è anche adatta a rappresentare una sinistra moderna, capace di un rapporto evoluto con il capitalismo. Durante il suo matrimonio con il Cavaliere, infatti, non solo ha dimostrato di non demonizzare il profitto e il denaro, ma si è rivelata capace di conviverci benissimo, riuscendo persino ad apprezzarne i vantaggi. E poi per un partito in perenne crisi finanziaria poter contare su un leader simile, magari reduce da un favoloso divorzio, sarebbe una manna (per non parlare del gusto che avrebbero quelli del Pd nel ripianare i loro debiti con i soldi del Berlusca). Sarebbe un leader moderno, dunque, ma anche antiberlusconiano, visto che nessuno come lei è incavolato con lui: ciò che ha detto delle ultime gesta del premier non lo si è sentito pronunciare manco dalla bocca di Antonio Di Pietro. E in un confronto televisivo non ci sarebbe storia, dal momento che lei è l’ultima persona con cui Berlusconi vorrebbe discutere in pubblico.
Infine la signora è la degna rappresentante della sinistra italiana perché, al pari di essa, è piena di snobismo antropologico verso i nuovi famosi creati dalla televisione. Per lei, sincera democratica, veline, troniste e soubrette sono «ciarpame» indegno di fare politica. Gli intellettuali della rive gauche de noantri non avrebbero saputo dirlo meglio (anche perché la nostra sembra avere appreso dal marito l’uso efficace delle parole, altra qualità che la distanzia dai loffi leader della sinistra).
Niente di strano che i giornali dell’opposizione adesso sbavino per lei più di quanto fece il marito, ventinove anni fa, vedendola a seno nudo sul palco del teatro Manzoni. «I sogni di Silvio finiscono sul ciarpame di Veronica», titolava ieri trionfante Europa, quotidiano della Margherita, che dipinge un «Berlusconi nei guai», tre parole che non venivano scritte in quest’ordine da qualche anno. Mentre Repubblica, che ha abbandonato da tempo ogni speranza di resuscitare il Pd, l’ha eletta emblema dell’ultima resistenza possibile: «Alla vigilia di un regime conclamato, qualcuno ci ricorda ancora che esiste la dignità. La sua, di donna, moglie e madre. La nostra di cittadini». Allons enfants de la Patrie, allora. Del resto, anche la Libertà che guida il popolo impugnando la bandiera della rivoluzione fu ritratta da Eugène Delacroix con le sue belle tette al vento.
© Libero. Pubblicato il 1 maggio 2009.