Se la legge Biagi licenzia Prodi

di Fausto Carioti

E noi che ci avevamo riso sopra. L'avevamo scambiata per una gag da avanspettacolo, e invece si trattava di puro neorealismo. Era il 3 aprile del 2006 e Silvio Berlusconi faceva la sua profezia in diretta tv: «Immagino un tavolo con Prodi che cerca di tenere assieme Vladimir Luxuria che dà gratis gli spinelli, Pannella con su scritto Vaticano talebano, la Bonino con un cartello che dice aboliamo il concordato, Francesco Caruso con il passamontagna e i bulloni, Diliberto che sventola la bandiera di Fidel Castro e D'Alema vestito da marinaretto. Come può pensare di tenerli insieme?». Ecco, ora lo ammettono pure a sinistra: stare insieme è impossibile. Ammainate le scaramanzie, la parola «crisi» oggi è sulla bocca di tutti i sostenitori di Prodi. Ieri i lettori dei giornali vicini all'Unione avevano bisogno di un antidepressivo, che di questo passo presto troveranno allegato al loro quotidiano. Il direttore dell'Unità, Antonio Padellaro, iniziava avvertendo che, se l'ultimatum di Franco Giordano è serio, «il governo è bello che fritto». Europa, il foglio della Margherita, titolava che «il Prc rilancia la corsa alla crisi». Liberazione, il giornale di Rifondazione, dà la colpa a Emma Bonino che «minaccia la crisi di governo». Cambia l'ordine dei fattori, ma il risultato resta lo stesso: Prodi kaputt.

Le lettere inviate a Manifesto e Liberazione sono una lettura istruttiva per capire gli umori della mitica "base". In una di queste la federazione del Pdci degli emigrati all'estero denuncia «l'esecrabile accordo del "nostro governo" relativo all'aumento dell'età pensionistica e alla riduzione del benessere con la nuova schiavitù del capolarato legale». La senatrice Haidi Giuliani, candidata dopo che il figlio Carlo fu ucciso dal carabiniere contro il quale si stava avventando col volto coperto da un passamontagna, nella sua lettera difende Francesco Caruso e sostiene che non è scandaloso «chiamare assassina una legge che permette a tanti imprenditori assassini di arricchirsi vergognosamente, per lo più frodando il fisco, a spese della sicurezza dei precari». Una lettrice avverte che chi si deve scusare non è Caruso, ma il senatore ulivista Tiziano Treu, autore della norma che ha preceduto la legge Biagi. E questi sono elettori ed eletti che dovrebbero sorreggere Prodi e convivere con i moderati del centrosinistra.

In realtà la legge Treu, votata dall'Ulivo due legislature fa e poi sconfessata umiliando colui che le ha dato il nome, ha creato centinaia di migliaia di nuovi occupati. E la legge Biagi le tutele al "precariato" le ha messe, non le ha tolte, mentre i posti di lavoro "buoni", a tempo indeterminato, sono aumentati. Ma ormai non c'è più spazio per ragionamenti pacati e documentati, come quello che ha provato a fare ieri sul Corriere della sera il giuslavorista (di sinistra) Pietro Ichino, spiegando che il libro di Beppe Grillo sul precariato, che ha ricevuto il plauso del portavoce del Quirinale, è costruito su una serie di «falsità». Ora importa solo la pancia degli elettori, e questa dice che le leggi Treu e Biagi sono una forma di schiavitù legalizzata. Glielo hanno fatto credere gli stessi leader dell'Unione (è stato Prodi a dire che la legge che porta il nome del giuslavorista ucciso «ha distrutto un'intera generazione»), e ora raccolgono ciò che hanno seminato.

Alla ripresa dei lavori Prodi dovrà decidere. O subisce il diktat di Rifondazione, a quanto pare avallato dallo stesso Fausto Bertinotti, che chiede di cambiare la legge Biagi e minaccia, in caso contrario, di non votare la riforma della previdenza (significherebbe mandare a casa Prodi). Oppure lascia intatta la legge, come chiedono i moderati, anche loro paventando la crisi. Il 20 ottobre lo sfascio sarà conclamato: il ministro rifondarolo Paolo Ferrero sarà in piazza per la manifestazione che critica il governo e gli chiede di svoltare a sinistra. Accanto a lui moltissimi esponenti della maggioranza e della Cgil. Probabile la presenza di altri ministri, come l'ormai ex ds Fabio Mussi, il comunista Alessandro Bianchi e il verde Alfonso Pecoraro Scanio. Lo stesso giorno un altro ministro, Emma Bonino, assieme a molti esponenti del centrodestra, parteciperà alla manifestazione di segno opposto, voluta dagli amici di Marco Biagi per chiedere al governo di non toccare la legge che porta il nome del giuslavorista ucciso.

Prodi proverà a uscirne nel solito modo: atteggiarsi a mediatore e usare ognuna delle due ali del governo come alibi nei confronti dell'altra. Ma stavolta non c'è niente da mediare: o le leggi vengono cambiate o restano come sono. Le dichiarazioni fatte ieri dal ministro del Welfare Cesare Damiano lasciano intendere che l'esecutivo è pronto a cedere a Rifondazione e a riscrivere sia la legge Biagi sia la recente riforma della previdenza. Si aspetta - non ci sarà molto da attendere - la reazione del leader della Margherita Francesco Rutelli, il quale aveva avvertito che l'accordo sulle pensioni non è negoziabile. Intanto ci ha pensato Lamberto Dini a mandare l'avvertimento a nome del gruppetto di senatori che sta coagulando attorno a sé: «Mi aspetto che ciò che è stato stabilito non sia oggetto di trattativa, altrimenti saremo noi a trarne le conseguenze». Come si vede, chiunque chieda qualcosa a Prodi lo fa minacciando la crisi di governo.

Comunque vada, qualcuno perderà e dovrà renderne conto ai propri elettori. E siccome i sondaggi, già disastrosi, sono in continuo peggioramento, nessuno può permettersi ulteriori crolli. Per questo da molte parti si inizia a dire che è meglio far cadere il governo e salvare ciò che resta del proprio gruzzoletto di voti. Conclusione alla quale gli intellettuali di sinistra - i quali sono "più avanti" per definizione - erano arrivati da tempo. Il compagno filosofo Gianni Vattimo lo aveva scritto a dicembre: «Se si va avanti ancora per qualche mese così la sinistra "che avanza" non avrà più alcun peso parlamentare. Meglio davvero lasciare che Prodi cada al più presto, e che si faccia un nuovo governo di centro».

Purtroppo per il premier, chi lo dovrebbe difendere ha preoccupazioni diverse dalle sue. Nella coalizione ormai si pensa solo a che volto avrà il partito democratico e a quali saranno i rapporti di forza tra questo e la "cosa rossa" che si formerà alla sua sinistra. È una partita che avrà conseguenze per i prossimi decenni, e se per non perderla si dovrà lasciare qualche cadavere illustre per strada, beh, pazienza. Si decide tutto da qui a dicembre e al momento l'unico ruolo possibile per Prodi sembra quello di vittima sacrificale.

© Libero. Pubblicato il 15 agosto 2007.

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