Caruso, la responsabilità politica è di Bertinotti e Prodi
di Fausto Carioti
Ogni volta che Francesco Caruso riesce a placare il suo egocentrismo e finisce sulle prime pagine dei giornali, Fausto Bertinotti allarga sconsolato le braccia: «Non sono il suo angelo custode. È un deputato e si assume la responsabilità di quello che dice». Franco Giordano, segretario di Rifondazione Comunista, ora che l’irreparabile sembra essere stato compiuto prova a cavarsela allo stesso modo: «Le sue sono parole in libertà, il cui solo responsabile è il deputato Caruso». Tutto pacifico, tutto tranquillo? No, non è così che funziona. Troppo comodo. Chi ha portato in Parlamento un personaggio simile non può lavarsene le mani, ma deve assumersene tutta la responsabilità politica.
Perché Caruso l’altro giorno non è improvvisamente impazzito, non era sotto l’effetto della cannabis o di altri stupefacenti (non più di quanto lo sia di solito, comunque). Frasi tipo quella pronunciata nei confronti di Marco Biagi e Tiziano Treu («sono due assassini, le loro leggi hanno armato le mani dei padroni») lui le dice da anni, fanno parte del “normale” arsenale dialettico di quella pattumiera delle ideologie rottamate che sono i centri sociali, dove Bertinotti è andato a pescarlo per farlo eleggere nelle liste del suo partito. Se non si fosse tappato le orecchie, accanto ai ritornelli sulla legge Biagi «assassina» Bertinotti avrebbe potuto accorgersi che nel brodo di coltura di Caruso c’erano anche gli slogan in favore dei macellai di Hamas e contro lo stato “criminale” di Israele, contro la polizia “cilena” e i carabinieri “servi dello Stato”. Bastava aver letto i giornali per sapere che fu lo stesso Caruso ad annunciare «verremo armati» al vertice Nato che si tenne a Napoli nel 2001 (l’intento era solo provocatorio, minimizzò poi). Lui è uno di quelli che difende i kamikaze islamici. E fu sempre lui, alla vigilia del G8 di Genova, a spedire un bossolo di fucile al ministro dell’Interno, Claudio Scajola: «Per invitarlo a riflettere», spiegò. Questo è il curriculum che ha spinto Rifondazione a candidarlo. E quindi proprio non si capisce come facciano oggi Bertinotti e il suo braccio destro Giordano a scandalizzarsi di ciò che dice.
Pur di averlo con sé Bertinotti gli ha riservato un trattamento da principe, candidandolo secondo in lista nella circoscrizione della Calabria. E siccome capolista era lo stesso Fausto, l’elezione del giovinotto napoletano alla Camera dei deputati era scontata. Erano i giorni in cui il leader rifondarolo sbandierava la candidatura di Caruso e degli altri esponenti dei centri sociali come il fiore all’occhiello del suo partito, il valore aggiunto che il Prc portava in dote all’intera coalizione. «I nostri candidati dentro l’esperienza di movimento», gongolava il futuro presidente della Camera, «hanno costruito una cultura politica e la portano in lista». La candidatura di Caruso, aggiungeva, «è un grande arricchimento», e chi lo contesta ha «una cattiva cultura politica». In effetti, a sinistra qualcuno aveva provato a dirgli che stava commettendo un errore madornale. Massimo D’Alema, ad esempio, intuendo come sarebbe andata a finire (non era difficile), lo aveva consigliato di lasciare Caruso dove stava. Ma il compagno Fausto, piccato, aveva bocciato la richiesta del diessino come «irritante ingerenza nelle scelte di un partito alleato».
L’unico che avrebbe potuto farsi ascoltare dal futuro presidente della Camera era il leader della coalizione, Romano Prodi. Ma ha preferito stare zitto. Aveva i suoi buoni motivi. L’operazione con cui Bertinotti intendeva saldare il suo partito ai movimenti no global prometteva di recuperare alla causa dell’Unione buona parte di quell’elettorato estremista che altrimenti, non sentendosi rappresentato, avrebbe disertato le urne. Si tratta della parte più primitiva del popolo di sinistra: gonfia di odio verso la legge Biagi e chi l’ha voluta, verso gli imprenditori piccoli e grandi, le forze dell’ordine, i nostri soldati all’estero («Dieci, cento, mille Nassiriya»), gli Stati Uniti e Israele. Con un calcolo cinico, Prodi decise però che bisognava raccattare ogni singolo voto, anche se veniva da elettori tanto impresentabili. Conti alla mano, ha avuto ragione lui: dei 24mila voti che hanno consentito all’Unione di vincere le elezioni, è probabile che molti, se non tutti, siano arrivati grazie all’alleanza tra Rifondazione e movimenti.
Adesso, a vittoria elettorale ottenuta, questi si indignano perché Caruso, invece di sedersi a tavola e mangiare assieme agli altri (e il banchetto potrebbe essere agli sgoccioli), si aggira per la sala ruttando e infilandosi le dita nel naso. Visto il posto in cui erano andati a prenderlo, non si capisce come potessero aspettarsi da lui un comportamento diverso.
© Libero. Pubblicato l'11 agosto 2007.
Ogni volta che Francesco Caruso riesce a placare il suo egocentrismo e finisce sulle prime pagine dei giornali, Fausto Bertinotti allarga sconsolato le braccia: «Non sono il suo angelo custode. È un deputato e si assume la responsabilità di quello che dice». Franco Giordano, segretario di Rifondazione Comunista, ora che l’irreparabile sembra essere stato compiuto prova a cavarsela allo stesso modo: «Le sue sono parole in libertà, il cui solo responsabile è il deputato Caruso». Tutto pacifico, tutto tranquillo? No, non è così che funziona. Troppo comodo. Chi ha portato in Parlamento un personaggio simile non può lavarsene le mani, ma deve assumersene tutta la responsabilità politica.
Perché Caruso l’altro giorno non è improvvisamente impazzito, non era sotto l’effetto della cannabis o di altri stupefacenti (non più di quanto lo sia di solito, comunque). Frasi tipo quella pronunciata nei confronti di Marco Biagi e Tiziano Treu («sono due assassini, le loro leggi hanno armato le mani dei padroni») lui le dice da anni, fanno parte del “normale” arsenale dialettico di quella pattumiera delle ideologie rottamate che sono i centri sociali, dove Bertinotti è andato a pescarlo per farlo eleggere nelle liste del suo partito. Se non si fosse tappato le orecchie, accanto ai ritornelli sulla legge Biagi «assassina» Bertinotti avrebbe potuto accorgersi che nel brodo di coltura di Caruso c’erano anche gli slogan in favore dei macellai di Hamas e contro lo stato “criminale” di Israele, contro la polizia “cilena” e i carabinieri “servi dello Stato”. Bastava aver letto i giornali per sapere che fu lo stesso Caruso ad annunciare «verremo armati» al vertice Nato che si tenne a Napoli nel 2001 (l’intento era solo provocatorio, minimizzò poi). Lui è uno di quelli che difende i kamikaze islamici. E fu sempre lui, alla vigilia del G8 di Genova, a spedire un bossolo di fucile al ministro dell’Interno, Claudio Scajola: «Per invitarlo a riflettere», spiegò. Questo è il curriculum che ha spinto Rifondazione a candidarlo. E quindi proprio non si capisce come facciano oggi Bertinotti e il suo braccio destro Giordano a scandalizzarsi di ciò che dice.
Pur di averlo con sé Bertinotti gli ha riservato un trattamento da principe, candidandolo secondo in lista nella circoscrizione della Calabria. E siccome capolista era lo stesso Fausto, l’elezione del giovinotto napoletano alla Camera dei deputati era scontata. Erano i giorni in cui il leader rifondarolo sbandierava la candidatura di Caruso e degli altri esponenti dei centri sociali come il fiore all’occhiello del suo partito, il valore aggiunto che il Prc portava in dote all’intera coalizione. «I nostri candidati dentro l’esperienza di movimento», gongolava il futuro presidente della Camera, «hanno costruito una cultura politica e la portano in lista». La candidatura di Caruso, aggiungeva, «è un grande arricchimento», e chi lo contesta ha «una cattiva cultura politica». In effetti, a sinistra qualcuno aveva provato a dirgli che stava commettendo un errore madornale. Massimo D’Alema, ad esempio, intuendo come sarebbe andata a finire (non era difficile), lo aveva consigliato di lasciare Caruso dove stava. Ma il compagno Fausto, piccato, aveva bocciato la richiesta del diessino come «irritante ingerenza nelle scelte di un partito alleato».
L’unico che avrebbe potuto farsi ascoltare dal futuro presidente della Camera era il leader della coalizione, Romano Prodi. Ma ha preferito stare zitto. Aveva i suoi buoni motivi. L’operazione con cui Bertinotti intendeva saldare il suo partito ai movimenti no global prometteva di recuperare alla causa dell’Unione buona parte di quell’elettorato estremista che altrimenti, non sentendosi rappresentato, avrebbe disertato le urne. Si tratta della parte più primitiva del popolo di sinistra: gonfia di odio verso la legge Biagi e chi l’ha voluta, verso gli imprenditori piccoli e grandi, le forze dell’ordine, i nostri soldati all’estero («Dieci, cento, mille Nassiriya»), gli Stati Uniti e Israele. Con un calcolo cinico, Prodi decise però che bisognava raccattare ogni singolo voto, anche se veniva da elettori tanto impresentabili. Conti alla mano, ha avuto ragione lui: dei 24mila voti che hanno consentito all’Unione di vincere le elezioni, è probabile che molti, se non tutti, siano arrivati grazie all’alleanza tra Rifondazione e movimenti.
Adesso, a vittoria elettorale ottenuta, questi si indignano perché Caruso, invece di sedersi a tavola e mangiare assieme agli altri (e il banchetto potrebbe essere agli sgoccioli), si aggira per la sala ruttando e infilandosi le dita nel naso. Visto il posto in cui erano andati a prenderlo, non si capisce come potessero aspettarsi da lui un comportamento diverso.
© Libero. Pubblicato l'11 agosto 2007.