Finisce male
di Fausto Carioti
Su una cosa l’ultrà finiano Fabio Granata ha ragione da vendere: «Così finisce male». Perché ormai c’è più isteria nel PdL che sulla tangenziale di Roma nell’ora di punta, e basta un incidente, anche minimo, perché partano gli insulti e il Partito dell’Amore rischi di finire (in tutti i sensi) a manate in faccia. Gianfranco Fini ha moderato i toni rispetto a quelli usati durante la direzione che lo vide puntare il dito verso Silvio Berlusconi. Ma la sfiducia tra i due leader rimane intatta, anche perché restano le cause che l’hanno generata. Berlusconi non digerisce che Fini sia allo stesso tempo presidente della Camera - ruolo super partes per definizione - e capo di una corrente. Mentre Fini, nonostante le rassicurazioni del Cavaliere, continua a vedere la mano di Berlusconi dietro ogni attacco che gli lancia il Giornale (l’ultimo ieri, con la ripresa dal sito Dagospia della notizia degli appalti affidati dalla Rai alla società della suocera di Fini). Riassume bene il pidiellino Osvaldo Napoli: «Ho il presagio che i chiarimenti tra i due siano soltanto all’inizio».
Eppure dentro al partito non si parla d’altro. Con quali risultati, lo si è visto ieri alla Camera, dove il centrodestra è riuscito ad andare in minoranza sul disegno di legge per la nuova disciplina del lavoro, nel quale - per un solo voto di scarto - è stato inserito un emendamento presentato dal Pd. È la quarantaseiesima volta che il governo viene battuto a Montecitorio, ma ieri è stata diversa, proprio a causa del clima mefitico che si respira nel PdL. Alcuni berlusconiani hanno subito accusato la pattuglia finiana di aver teso un «agguato». In effetti, il dubbio viene: nel momento del voto, i pochi fedelissimi rimasti a Fini quasi tutti assenti: Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Flavia Perina… Buona parte di costoro, peraltro, era impegnata a discutere sulle strategie della loro «componente».
La stessa cosa, però, avveniva sul fronte dei berluscones. Fabrizio Cicchitto, il capogruppo, era assente «giustificato», in quanto in missione: doveva andare a Porta a Porta per discutere dei problemi interni al PdL. Assenti anche il coordinatore Denis Verdini e altri uomini fidati del Cavaliere. La morale è che nemmeno un falco come Giorgio Straquadanio se la sente di gettare la croce sui finiani: «Non so se è stato un agguato. Ma so che c’erano novanta assenti e che stiamo costringendo il sottosegretario Paolo Bonaiuti a stare in aula, quando ha molte altre cose da fare. È folle che debba essere qui per rimediare agli assenteisti».
Questo è l’andazzo, tendente allo sfascio, e al momento non si vedono motivi per cui debba migliorare. Fini sta facendo il giro delle sette reti per spiegare in televisione la sua idea di destra «moderna, senza bava alla bocca», insomma ammiccante alla sinistra, ma comunque - ripete lui - leale al governo e alla coalizione. Ancora non è dato sapere quanti italiani stia convincendo. Si sa con certezza, però, che questo suo iperattivismo sta provocando forti mal di pancia a Berlusconi, sempre più convinto che un presidente della Camera debba avere un comportamento molto diverso da quello di Fini. Il fatto che l’ex leader di An non abbia preso le distanze dai suoi pasdaran, come Bocchino e il politologo Alessandro Campi (quello che ha proposto un governo tecnico con i finiani alleati della sinistra) rende poi meno credibili le sue professioni di lealtà.
Peggio di così si può? Certo che sì, e magari lo vedremo già oggi, quando i deputati del PdL si riuniranno per decidere la sorte di Bocchino. Il quale prima ha presentato le dimissioni da vicecapogruppo, poi ha spiegato che queste erano legate alle dimissioni del capogruppo, cioè di Cicchitto, e ora rischia di essere accontentato per la prima parte e non per la seconda. L’idea che si votino le dimissioni di Bocchino, e quindi divenga ufficiale la spaccatura nel suo partito, non piace a Berlusconi. La conta garba poco anche a diversi finiani, perché potrebbe rivelare che sono ancora meno del previsto. Così prende corpo l’ipotesi che Bocchino venga abbandonato dai suoi, e le sue dimissioni accettate senza alcuna votazione. In ogni caso, è una ferita che resterà. Con quali conseguenze, lo capiremo presto.
© Libero. Pubblicato il 29 aprile 2010.
Su una cosa l’ultrà finiano Fabio Granata ha ragione da vendere: «Così finisce male». Perché ormai c’è più isteria nel PdL che sulla tangenziale di Roma nell’ora di punta, e basta un incidente, anche minimo, perché partano gli insulti e il Partito dell’Amore rischi di finire (in tutti i sensi) a manate in faccia. Gianfranco Fini ha moderato i toni rispetto a quelli usati durante la direzione che lo vide puntare il dito verso Silvio Berlusconi. Ma la sfiducia tra i due leader rimane intatta, anche perché restano le cause che l’hanno generata. Berlusconi non digerisce che Fini sia allo stesso tempo presidente della Camera - ruolo super partes per definizione - e capo di una corrente. Mentre Fini, nonostante le rassicurazioni del Cavaliere, continua a vedere la mano di Berlusconi dietro ogni attacco che gli lancia il Giornale (l’ultimo ieri, con la ripresa dal sito Dagospia della notizia degli appalti affidati dalla Rai alla società della suocera di Fini). Riassume bene il pidiellino Osvaldo Napoli: «Ho il presagio che i chiarimenti tra i due siano soltanto all’inizio».
Eppure dentro al partito non si parla d’altro. Con quali risultati, lo si è visto ieri alla Camera, dove il centrodestra è riuscito ad andare in minoranza sul disegno di legge per la nuova disciplina del lavoro, nel quale - per un solo voto di scarto - è stato inserito un emendamento presentato dal Pd. È la quarantaseiesima volta che il governo viene battuto a Montecitorio, ma ieri è stata diversa, proprio a causa del clima mefitico che si respira nel PdL. Alcuni berlusconiani hanno subito accusato la pattuglia finiana di aver teso un «agguato». In effetti, il dubbio viene: nel momento del voto, i pochi fedelissimi rimasti a Fini quasi tutti assenti: Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Flavia Perina… Buona parte di costoro, peraltro, era impegnata a discutere sulle strategie della loro «componente».
La stessa cosa, però, avveniva sul fronte dei berluscones. Fabrizio Cicchitto, il capogruppo, era assente «giustificato», in quanto in missione: doveva andare a Porta a Porta per discutere dei problemi interni al PdL. Assenti anche il coordinatore Denis Verdini e altri uomini fidati del Cavaliere. La morale è che nemmeno un falco come Giorgio Straquadanio se la sente di gettare la croce sui finiani: «Non so se è stato un agguato. Ma so che c’erano novanta assenti e che stiamo costringendo il sottosegretario Paolo Bonaiuti a stare in aula, quando ha molte altre cose da fare. È folle che debba essere qui per rimediare agli assenteisti».
Questo è l’andazzo, tendente allo sfascio, e al momento non si vedono motivi per cui debba migliorare. Fini sta facendo il giro delle sette reti per spiegare in televisione la sua idea di destra «moderna, senza bava alla bocca», insomma ammiccante alla sinistra, ma comunque - ripete lui - leale al governo e alla coalizione. Ancora non è dato sapere quanti italiani stia convincendo. Si sa con certezza, però, che questo suo iperattivismo sta provocando forti mal di pancia a Berlusconi, sempre più convinto che un presidente della Camera debba avere un comportamento molto diverso da quello di Fini. Il fatto che l’ex leader di An non abbia preso le distanze dai suoi pasdaran, come Bocchino e il politologo Alessandro Campi (quello che ha proposto un governo tecnico con i finiani alleati della sinistra) rende poi meno credibili le sue professioni di lealtà.
Peggio di così si può? Certo che sì, e magari lo vedremo già oggi, quando i deputati del PdL si riuniranno per decidere la sorte di Bocchino. Il quale prima ha presentato le dimissioni da vicecapogruppo, poi ha spiegato che queste erano legate alle dimissioni del capogruppo, cioè di Cicchitto, e ora rischia di essere accontentato per la prima parte e non per la seconda. L’idea che si votino le dimissioni di Bocchino, e quindi divenga ufficiale la spaccatura nel suo partito, non piace a Berlusconi. La conta garba poco anche a diversi finiani, perché potrebbe rivelare che sono ancora meno del previsto. Così prende corpo l’ipotesi che Bocchino venga abbandonato dai suoi, e le sue dimissioni accettate senza alcuna votazione. In ogni caso, è una ferita che resterà. Con quali conseguenze, lo capiremo presto.
© Libero. Pubblicato il 29 aprile 2010.