Nel Pd è iniziata la fuga dal 2013

di Fausto Carioti

Per capire cosa accade a sinistra di questi tempi tocca recuperare la summa filosofica del “furbetto” Stefano Ricucci, che non sarà il più fine degli analisti ma ha l'indubbio pregio della sintesi: «È facile fare i froci col culo degli altri». Perché due cose sono chiare nell'opposizione dal momento in cui si sono saputi i risultati delle regionali. La prima è che Pier Luigi Bersani è già bollito. Non solo nessuno pensa di farne il candidato premier del centrosinistra nel 2013 (cosa non troppo normale per il leader del principale partito d'opposizione), ma è anche chiaro a tutti, dalla figlia di Walter Veltroni in su, che come segretario del Pd ha già fallito. La seconda certezza - che ci riporta alla metafora evocativa di Ricucci - è che nessuno osa fare un passo avanti e dire: tocca a me, mi candido io. Al contrario: tutti criticano Bersani, in pubblico e in privato, ma al momento di arrivare al dunque si bloccano lì, sfoderando la frase di rito: «La leadership di Bersani non si discute». Complimenti al coraggio.

La verità è che il voto nelle tredici regioni ha tolto gli ultimi dubbi che ancora giravano, trasformandoli in una certezza: a meno di eventi imprevisti ed imprevedibili, le elezioni del 2013 finirà per vincerle il solito Silvio Berlusconi. Quelle che si sono appena svolte erano a tutti gli effetti elezioni di metà mandato, e si è visto come sono andate: c'è la crisi economica, la disoccupazione è in aumento, i magistrati lo inseguono più di prima, i giornalisti lo spiano sin dentro la camera da letto, lo hanno accusato di essere un seduttore di minorenni e un puttaniere, sono scesi in piazza in migliaia per dargli del mafioso e dello stragista, un italiano su tre non va a votare e quello, facendo due sole settimane di campagna elettorale con uno slogan che manco le Orsoline («L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio»), ha strappato quattro regioni ai suoi avversari, assieme a Umberto Bossi controlla il Nord e la conferenza Stato-Regioni ed è più forte che mai. Se poco poco nei prossimi tre anni l'economia si risolleva (e prima o poi dovrà accadere) e lui riesce a dare una sforbiciatina alle tasse, potrà fare la campagna elettorale per le prossime politiche dalla sua villa di Antigua, per tornare in Italia con l'elicottero che atterra direttamente sul Quirinale. Ma anche se il Cavaliere non dovesse essere così fortunato, la consistenza di quel semolino chiamato opposizione è tale che Berlusconi rischia di stravincere comunque.

A sinistra lo hanno capito. Dopo il voto di domenica e lunedì, i denti aguzzi e scintillanti del Caimano incutono ancora più terrore. Così è cominciata la gara a chi si tira indietro per primo, lasciando avanti il povero Bersani, che se si gira scopre di essere rimasto solo. Prendete il sindaco di Torino: Sergio Chiamparino, lo “sceriffo rosso”, la grande speranza del Pd del Nord e dell'Italia tutta. Prima del voto aveva detto che Bersani si muove «a zig zag, senza dare l'impressione di tenere la barra dritta», che «non siamo ancora usciti dal passato e il nuovo va ancora costruito», insomma che il Pd gli faceva schifo, che dopo le regionali si sarebbe dovuta costruire una forza nuova e che lui stesso non escludeva di candidarsi per la leadership. «Finalmente uno con gli attributi», hanno pensato i depressi elettori di sinistra. Poi si va al voto, il Pd perde tutte le regioni che può perdere e arretra persino nelle sue roccaforti storiche. E l'unica cosa che Chiamparino riesce a dire è che Bersani «ha fatto il massimo» e non deve essere messo in discussione.

Poi ci sarebbe Enrico Letta, che di questo passo rischia di fare la fine di quei calciatori tipo Alvaro Recoba, che hanno perso tutti i treni buoni e chiuso la carriera con un grande avvenire dietro le spalle. Se il nipote di zio Gianni si salverà da questa sorte sarà solo perché in Italia un politico è giovane sino a sessant'anni e può arrivare a palazzo Chigi o al Quirinale pure avendone ottanta. Ma anche lui, di affrontare adesso il suo destino, non ha nessuna voglia. Altri sopravvissuti alla strage berlusconiana non se ne vedono. Berlusconi ha assassinato ogni leader della sinistra, inclusi quelli futuribili, tipo il suo clone in scala uno a mille, Renato Soru. Gli altri nomi che girano, come quello di Nicola Zingaretti, al momento hanno un orizzonte di credibilità limitato al raccordo anulare. Fuori dal Pd, l'unico che prende voti è Nichi Vendola, ma la sua collocazione è tale che non può certo candidarsi alla guida dell'opposizione. Cosa che invece potrebbe - e vorrebbe - fare il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. Il quale, però, è appena uscito con le ossa rotte dalle regionali, e con il suo 4% circa può spostare gli equilibri in qualche regione, ma non certo a livello nazionale.

La situazione è tale che, per sfidare Berlusconi tra tre anni, iniziano a girare i nomi più improbabili: Luca Cordero di Montezemolo è stato affiancato dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, e dall'economista Mario Monti. Nomi che sono indici della disperazione. Intanto perché segnano la resa totale dei partiti di centrosinistra, che in questo modo ammettono di non essere in grado di presentare un candidato credibile e sono costretti a rivolgersi a personaggi estranei allo loro storia (Romano Prodi, almeno, aveva già avuto incarichi di governo con la Dc ed era il simbolo del dossettismo in salsa bolognese). E poi perché questi grand commis, tirati in ballo ogni volta che la sinistra non sa che pesci prendere, al momento buono sono bravissimi a ringraziare e dire che loro, alla politica, non ci pensano proprio. Che poi, tradotto, vuol dire che non hanno nessuna intenzione di andarsi a schiantare contro il muro di Arcore.

L'impressione è che in molti, nell'opposizione, inizino davvero a sperare che Berlusconi vada al Quirinale, e che intendano muoversi solo dopo quel momento. Almeno, tolta di mezzo una simile ira di dio, si potrà tornare ad avere qualche speranza di vittoria. Prima di fare certi calcoli, però, dovrebbero capire bene quale tipo di riforme istituzionali e di presidenzialismo intende introdurre Berlusconi. Uno così, se diventa presidente della Repubblica, non lo fa certo per il messaggio di fine anno.

© Libero. Pubblicato il 2 aprile 2010.

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