Da Fini e Udc buoni segnali per Berlusconi

di Fausto Carioti

Il massacro elettorale perpetrato ai danni della sinistra nei ballottaggi non è l’unica buona notizia incassata ieri da Silvio Berlusconi. Altre piacevoli novità sono arrivate dalle sue due tradizionali spine nel fianco: l’Udc e Gianfranco Fini hanno capito che le elezioni le ha vinte lui (se non da solo, poco ci manca) e gli mandano segnali di disponibilità.

Che il partito di Pier Ferdinando Casini avrebbe cambiato atteggiamento era chiaro già due settimane fa, dopo il voto delle regionali. L’alleanza con il Pd, anche se sottoscritta a macchia di leopardo, si era rivelata un fallimento. L’appoggio a candidati come Mercedes Bresso aveva ottenuto il duplice risultato di irritare le gerarchie ecclesiastiche e di essere bocciato dagli elettori. Mentre la scelta pugliese di candidarsi in autonomia dai poli era servita a far vincere Nichi Vendola (anche lui, non proprio un beniamino delle gerarchie vaticane). Quel che è peggio, il Pd si è mostrato un alleato inaffidabile in prospettiva futura: soggetto ai diktat dei Radicali e dell’Italia dei valori, senza una direzione politica forte, privo di obiettivi chiari, a partire dalle alleanze e dai candidati.

Così chi, nell’Udc, pensava ad aprire un dialogo con Pier Luigi Bersani in vista delle prossime elezioni politiche, è rimasto freddato dal voto delle regionali. Lo stesso Casini, al quale i dalemiani avevano fatto balenare l’ipotesi di essere il nuovo Prodi, quello che alla guida del centrosinistra avrebbe dato a Berlusconi la sconfitta definitiva, ha avuto modo di capire che, se abbocca, il pensionato della politica, nel 2013, rischia di essere lui.

Insomma, che l’Udc ricominciasse a strizzare l’occhio al centrodestra era nell’ordine delle cose. Ma i toni e i modi in cui questo è avvenuto colpiscono. Il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, ieri ha detto senza giri di parole che appoggiare la candidatura della Bresso è stato «un grave errore». «Era indigeribile per il nostro elettorato, che, infatti, non ci ha seguito», ha ammesso. Un’autocritica, certo. Ma anche un’accusa a Casini, che si era fatto convincere dal plenipotenziario piemontese dell’Udc, Michele Vietti, ad accettare l’unione innaturale con la Bresso.

Ancora più clamoroso il riconoscimento delle virtù eroiche e cristiane della Lega, cioè del partito che aveva sancito la conventio ad excludendum nei confronti dell’Udc («Se Casini vuole fare accordi con la Lega al di sopra del Po, deve sapere che non c’è spazio»: Umberto Bossi dixit). Da bravo penitente, dopo essersi battuto il petto, Buttiglione ha provato a scambiare un gesto di pace con gli avversari in camicia verde: «Dopo di noi, la Lega è l’unico partito che ha il coraggio di affermare un’identità cristiana».

Per ora, a prenderne atto, è il ministro Gianfranco Rotondi, uno di quelli che lavora a infoltire la presenza cattolica nel centrodestra. «L’analisi di Buttiglione sull’ispirazione cristiana della Lega è innovativa e può essere premessa di evoluzioni molto importanti», ammicca. Tradotto, vuol dire che il segnale che ci si attendeva è arrivato, adesso sta al PdL e alla Lega dare un seguito. E nel Popolo della Libertà ce ne sono diversi, dai berlusconiani Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello e Osvaldo Napoli al finiano Italo Bocchino, che aprirebbero volentieri le porte di casa al figliol prodigo. Anche per creare un contrappeso alla Lega dentro alla maggioranza.

Da Fini, invece, è arrivato quello che Berlusconi può interpretare come un gesto distensivo, in vista del faccia a faccia tra i due, previsto per giovedì. Il presidente della Camera ha detto che fare le riforme con l’opposizione, come chiede il Quirinale un giorno sì e l’altro pure, è una cosa «opportuna, ma non indispensabile». Secondo Fini, in altre parole, si potrà anche andare avanti a colpi di maggioranza. Che poi è quello che vogliono sentirsi dire Berlusconi e i suoi, convinti che il Pd non avrà il coraggio di portare sino in fondo il dialogo, e che quindi PdL e Lega si troveranno presto davanti alla scelta tra fare le riforme per conto loro o non farle per niente.

Certo, Fini ha subito precisato che sarebbe meglio accordarsi con l’opposizione, se non altro per evitare i referendum, che scattano automaticamente nel caso in cui le modifiche alla Costituzione non siano approvate da una maggioranza dei due terzi. Ma quella di ieri resta comunque la prima dichiarazione del presidente della Camera non allineata con le posizioni di Giorgio Napolitano da diversi mesi a questa parte. Fini si è anche detto pronto a rinunciare al “modello francese” puro, che prevede di affiancare al semi-presidenzialismo, accettato anche da Berlusconi, un sistema elettorale a doppio turno, del quale il premier invece non vuole sentire parlare.

Salvo sorprese - sempre possibili tra due personaggi che non si sopportano più da tempo - l’incontro tra i due fondatori del PdL rischia così di essere più tranquillo e proficuo di quanto vorrebbe l’opposizione. Le richieste dei forzisti sono riassunte da Osvaldo Napoli: «Primo, Fini deve prendere atto che Berlusconi ha vinto le regionali. Secondo, deve ammettere che il doppio turno è l’antitesi della democrazia, come conferma la bassa percentuale dei votanti a quest’ultimo ballottaggio. Terzo, non farebbe male a dare una bacchettata sulle dita dei suoi amici che parlano di “repubblica sudamericana” solo perché noi non vogliamo il doppio turno». Concetti che, in parte, Fini ha già espresso ieri. E se la tregua tra i due sopravvive al faccia a faccia di giovedì, Berlusconi metterà l’ennesima ciliegina sulla torta del 2010.

© Libero. Pubblicato il 13 aprile 2010.

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