Non è un paese per poliziotti

di Fausto Carioti

Prima aggrediti, poi processati e quindi condannati. È successo a tredici poliziotti dopo il G8 di Genova (e poteva andare molto peggio, visto che gli agenti imputati erano 29). È accaduto l’altro giorno in Piemonte, con il dirigente della questura di Torino che nel dicembre del 2005 aveva protetto dai manifestanti i lavori per l’Alta velocità: indagato dalla Corte dei Conti «per comportamento lesivo dell’immagine del Corpo e dello Stato», così impara. Si è ripetuto ieri a Napoli, con dieci condanne in primo grado per i vicequestori e gli agenti che, durante il Global Forum del marzo 2001, avevano dovuto tenere a bada picchiatori e squadristi no-global. Ci vogliono coraggio e spalle larghe, di questi tempi, per indossare una divisa in Italia.

Il caso di Napoli, a modo suo, è un ottimo esempio di come funziona la giustizia in questo Paese. Erano i giorni di metà marzo di nove anni fa, ed erano anche i tempi di quel “popolo di Seattle” che metteva paura a tutti e che pochi avevano il coraggio di chiamare con il nome giusto: un esercito di teppisti a volto coperto, armati di spranghe e bulloni. Nel capoluogo campano fecero le prove generali in vista del G8 di Genova, dove nel luglio dello stesso anno sarebbe successo quello che sappiamo. Le cronache partenopee riferirono di cariche contro le forze dell’ordine (cinquanta feriti tra poliziotti, carabinieri e finanzieri), autovetture sfasciate, incursioni contro negozi e sedi di banche, lanci di sampietrini e molotov, aggressione a una troupe del Tg4 (dieci giorni di prognosi per un operatore Mediaset). Persino i Comunisti italiani, compagni di letto dei no-global, dovettero prendere le distanze da quello che i loro concubini avevano combinato in piazza: «Gli incidenti di Napoli vanno deplorati con fermezza, visto anche l’alto numero di feriti tra i manifestanti e gli agenti di polizia».

Primo ministro - anche questo è bene ricordarlo, perché stavolta la favoletta del governo berlusconiano e “cileno” non ce la possono raccontare - era Giuliano Amato, mentre il ministro dell’Interno si chiamava Enzo Bianco. Due tipi tutt’altro che tosti, insomma. Nei giorni che precedettero il forum il governo dell’Ulivo, nel suo genuflettersi davanti ai nuovi padroni delle piazze, aveva invitato i rappresentanti del “popolo di Seattle” a partecipare al Global Forum come relatori. Quelli, ovviamente, avevano rifiutato: mica erano arrivati fin lì per parlare.

Ieri, il degno finale: gli agenti che avevano portato in una caserma di polizia i responsabili degli scontri per isolarli dal resto dei teppisti, identificarli e interrogarli, sono stati condannati per sequestro di persona. E pazienza se la legge consente loro di trattenere i fermati in caserma per 24 ore. Chissà se Amato e Bianco troveranno il coraggio di spendere mezza parola in loro difesa. Di sicuro, la prossima volta poliziotti e carabinieri ci penseranno due volte prima di fare il loro mestiere.

© Libero. Pubblicato il 23 gennaio 2010.

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