Berlusconi, Fini e la necessaria sopportazione reciproca

di Fausto Carioti

È stato un confronto spigoloso, a tratti durissimo. Si è concluso senza rotture, ma con la presa d'atto delle reciproche differenze e con l'impegno di continuare a sopportarsi a vicenda, evitando grossi casini, almeno fino alle elezioni regionali. Sapendo bene che riuscirci sarebbe già un miracolo. Sembra il bilancio di un mezzo fallimento, ma la verità è che - viste le premesse - il pranzo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini non poteva produrre nulla più di questo fragile accordo.

Fini, soprattutto, ha voluto essere crudo. Come quando ha detto a Berlusconi che non ritiene di essergli politicamente debitore. Oppure quando ha rivendicato quello che ritiene un suo diritto, e cioè essere coinvolto nelle decisioni su tutti i temi caldi, come tasse e giustizia. Si può discutere se sia giusto che Fini pretenda di agire, allo stesso tempo, come leader di un partito e come alta carica istituzionale. O se abbia i titoli per imporre una simile «concertazione» all'odiato alleato. Ed è chiaro che Berlusconi preferisce mille volte la sedia del dentista al desco del presidente della Camera. Ma quello che conta adesso, per tutto il PdL, è portare a casa, a marzo, il maggior numero possibile di regioni. La sinistra è davvero a pezzi, e un'occasione simile chissà quando ricapita.

Subito dopo il voto, poi, davanti al PdL si aprirà una prateria sconfinata: tre anni senza elezioni degne di questo nome. Trentasei mesi che - se usati bene - potranno essere quelli in cui viene riscritta la Costituzione e si fanno riforme fondamentali per l'economia, il welfare e la giustizia. E magari si mette mano pure all'assetto del PdL. Lì sì che Berlusconi e Fini avranno modi e tempi per confrontarsi, magari sino a giungere allo scontro definitivo. Ma farlo adesso non avrebbe senso. E, almeno su questo, i due si trovano d'accordo.

Berlusconi, poi, ha altri fronti aperti, ben più importanti, che gli consigliano di mantenere tiepidi i rapporti con Fini e di accettare - per ora - le sue richieste. C'è il fronte delle procure, innanzitutto. Occorre varare una legge che impedisca la condanna del premier nel processo Mills e, in successione, una legge costituzionale che renda gli eletti dal popolo immuni dalla minaccia dei Pm. Fini, che lo sa benissimo, gli ha promesso il suo appoggio, anche se non certo incondizionato, riconoscendo che Berlusconi è oggetto di persecuzione giudiziaria.

C'è il fronte delle tasse: poche storie, al premier il fatto di non averle tagliate brucia. Voleva berlusconizzare Giulio Tremonti, ma ha dovuto tremontizzare se stesso, piegando il capo a una logica - quello del braccino corto in tempo di crisi economica - che non è la sua. Il Cavaliere è convinto che proprio adesso bisognerebbe ridurre le imposte per dare slancio alla ripresa, e presto tornerà alla carica. Avere Fini e i suoi dalla propria parte, o quantomeno in posizioni non ostili, sarebbe una buona cosa.

E poi c'è Pier Ferdinando Casini. Da possibile alleato, l'Udc è tornata a essere la sentina dei vizi della vecchia politica. Il premier è sempre più tentato dalla voglia di dire a Casini: o ti allei con noi ovunque, oppure sei libero di andare con Nichi Vendola ed Emma Bonino. Fini, però, è molto più cauto. Anche perché l'Udc può rivelarsi decisiva nella corsa della “sua” Renata Polverini nel Lazio. Così ha concordato di definire «inaccettabile» la politica dei due forni dei centristi. Ma più in là non si è spinto.

In tutti questi casi - riforme della giustizia, tasse, rapporti con Casini - Fini ha chiesto di tessere tela assieme a Berlusconi, assicurando non l'adesione ai progetti del premier, ma la lealtà di un alleato di pari grado. Berlusconi ha fatto buon viso a cattivo gioco, ma la verità è che non si fida. Fini lo sa benissimo, e comunque nemmeno lui si fida dell'altro. Quello raggiunto ieri, dunque, è un patto che si potrebbe rompere anche oggi. Se non fosse per quel reciproco interesse a tollerarsi ancora per un po'.

© Libero. Pubblicato il 15 gennaio 2010.

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