Ritratto di Carlo Caracciolo, inventore di giornali e gran nemico di Berlusconi

di Fausto Carioti

Il cognome, l’incarico, i titoli nobiliari, la parentela con gli Agnelli e tutto il resto non devono ingannare. Don Carlo Caracciolo, fondatore dell’Espresso e di Repubblica, principe di Castagneto e duca di Melito, morto ieri nella sua casa di Roma all’età di 83 anni, si era davvero fatto da solo. Un piccolo imprenditore amante dell’azzardo che amava i giornali e le tipografie, e soprattutto era incuriosito dalla fauna umana che vive nelle redazioni. Vendicativo quanto basta per andare orgoglioso della lista dei suoi nemici, dove al primo posto, dal 1991, aveva messo Silvio Berlusconi. Un po’ per bravura e un po’ perché la fortuna spesso arride agli incoscienti, era riuscito a creare un solido gruppo editoriale, riuscendo a fare soldi laddove tanti altri sono riusciti solo ad accumulare debiti.

Era nato nell’ottobre del 1925. Suo padre era il nobile napoletano Filippo Caracciolo, diplomatico e antifascista, che fu anche segretario del partito d’Azione. Sua madre, Margaret Clarke, era un’americana. Sua sorella Marella nel 1953 sposerà Gianni Agnelli. Insomma, già giovanissimo aveva tanti buoni motivi per considerarsi parte di una elite intellettuale laica, progressista e giramondo. Che poi, guarda caso, è proprio il tipo di pubblico su cui ha disegnato i suoi giornali. Durante la guerra fu partigiano in val d’Ossola, nella brigata Matteotti. Laureato in legge, come si conveniva a ogni rampollo di buona famiglia, specializzò i suoi studi giuridici alla Harvard School di Boston. Nel 1951 dette vita alla sua prima creatura imprenditoriale: la casa editrice Etas Kompass, specializzata in riviste tecniche ed annuari industriali. Nel ’55 partecipò alla fondazione della società editrice Nuove edizioni romane, il cui azionista principale era un altro grande laico progressista, Adriano Olivetti. Il trentenne Caracciolo doveva pensare alla raccolta pubblicitaria dell’Espresso, la rivista diretta da Arrigo Benedetti nata lo stesso anno.

Ma dopo pochi mesi, nel 1956, ci fu la svolta. Olivetti gli regalò le azioni della società. Non per generosità, ma perché la barca non andava. «Rimasi sconcertato», ha raccontato Caracciolo. «Ero senza una lira. Gestendo la pubblicità avevo un qualche accesso ai conti, che non erano straordinari». Assieme a Benedetti e a Eugenio Scalfari, direttore amministrativo ed editorialista dell’Espresso, decisero di raddoppiare il prezzo della rivista: da cinquanta a cento lire. Fu la prima grande scommessa della sua vita. La vinse.

Chiunque abbia un settimanale che si occupa di politica prima o poi vuole fare un quotidiano. Caracciolo lo fece nel 1976: assieme al suo amico Scalfari, e questa volta con i soldi della Mondadori, creò Repubblica. Doveva essere un secondo quotidiano per la parte più illuminata della borghesia italiana, scritto come un settimanale, senza cedere alle tentazioni dello sport e di altri argomenti troppo plebei. Ben presto la formula cambiò, per diventare quella di un grande quotidiano popolare. Caracciolo si prese il compito di allargare la famiglia, affiancando alla corazzata romana tante testate locali, tutte ideologicamente affini alla casa madre, tutte più o meno redditizie. Se oggi i quindici quotidiani locali del gruppo Espresso, tutti insieme, vendono quanto Repubblica, il merito è anche del lavoro da manovale che si sobbarcava il principe. «Una volta sono andato con lui a fare un giro in Toscana», ha scritto uno dei suoi giornalisti preferiti, Giorgio Bocca. «L’ho visto passare la giornata a discutere con i distributori: quante copie ha preso il Tirreno a Grosseto, quante ne ha perse a Follonica. Poi combinava con un rappresentante di macchine tipografiche un viaggio a una fiera di Las Vegas, per vedere l’ultimo modello di una rotativa».

L’odio per Berlusconi risale alla “guerra di Segrate”, quando Luca Formenton cedette il controllo del gruppo Mondadori al Cavaliere invece che a Carlo De Benedetti, alleato di Caracciolo e Scalfari. Da allora, non passa giorno che i giornali del gruppo Espresso non sparino su Berlusconi. Caracciolo lo ha ammesso con candore, in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti: «I berlusconiani sono diversi da noi. Con loro cerchiamo di avere a che fare il meno possibile. Estinguerli non mi dispiacerebbe»

Oltre all’editoria, l’altro gioco d’azzardo che appassionava il presidente onorario del gruppo Espresso era il poker. Amava trascorrere i fine settimane nelle sue tenute di Torrecchia, vicino Latina, e Garavicchio, in Maremma. Scrittori, editori, imprenditori, banchieri, giornalisti: al tavolo con lui si sono seduti in tanti. Tra questi Carlo Perrone, Claudio Rinaldi, Gianluigi Melega, Jas Gawronski, Giuliano Ferrara, Corrado Passera, una quantità imprecisata di Agnelli. Ma le porte della sua casa di Roma, all’ultimo piano di un palazzo dietro piazza in Piscinula, nella zona di Trastevere che dà sull’isola Tiberina, erano aperte anche per i vecchi ispettori dei suoi quotidiani che, di passaggio a Roma, volevano salutarlo. Il suo mondo, la sua vita, più che di champagne sapevano d’inchiostro.

© Libero. Pubblicato il 16 dicembre 2008.

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