L'alleanza del gas
Si chiama Gecf, sigla che sta per Gas exporting countries forum, e sinora se ne è parlato molto poco. La Russia sta facendo di tutto perché se ne parli di più, e - con tutte le differenze che passano tra il mercato del gas e quello del petrolio - diventi qualcosa di simile all'Opec. Per l'Europa non è una buona notizia. Al di là della questione economica - quando chi vende cerca di mettersi d'accordo, per chi compra c'è sempre poco da festeggiare - il problema vero è politico. Basta vedere i nomi dei principali Paesi esportatori di gas (come sempre, tutti questi dati sono disponibili sulla preziosissima BP Statistical Review). La Russia ogni anno esporta via gasdotto 147,5 miliardi di metri cubi di gas (su un totale di esportazioni mondiali pari a 549,7 miliardi di metri cubi). L'Iran 6,2 miliardi. La Nigeria ne produce 35 miliardi. Del forum, oltre a questi tre Paesi, fanno parte anche Algeria, Libia, Venezuela, Qatar, Malesia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bolivia, Brunei, Indonesia, Trinidad e Tobago. Più che le quote di esportazione, però, contano le riserve accertate. La Russia è prima con il 25,2% del totale, l'Iran secondo con il 15,7%, il Qatar terzo con il 14,4%. Che insieme fanno oltre il 55% delle riserve.
Se i nomi dei principali membri del Gecf non dicono nulla, meglio ripassare l'elenco dei Paesi ai ferri corti con gli Stati Uniti e con ciò che resta del blocco occidentale. Dove spiccano i nomi della sempre più ambiziosa Russia di Vladimir Putin (di questi tempi costretta a fare i conti con il crollo del prezzo del petrolio), dell'Iran di Mahmoud Ahmadinejad e del Venezuela di Hugo Chavez. Già oggi, la Russia si è assunta il ruolo di Paese protettore dell'Iran, a partire dal consiglio di sicurezza dell'Onu. E ha varato una strategia dell'attenzione nei confronti del Venezuela, che nelle scorse settimane si è concretizzata in esercitazioni militari congiunte nel Mar dei Caraibi. In parole povere, il Gecf rappresenta il tentativo di realizzare una saldatura tra Paesi che hanno tutto l'interesse a rendere la vita difficile all'Alleanza atlantica e ad usare, per finanziare i loro propositi, i soldi dei consumatori di gas dei Paesi che la compongono. Cioè, i soldi nostri.
Aggiornamento: Dal vertice di Mosca nasce «l'Opec del metano», cartello di 16 Paesi produttori (con Putin che annuncia la fine dell'era «del gas a buon mercato»).
Se i nomi dei principali membri del Gecf non dicono nulla, meglio ripassare l'elenco dei Paesi ai ferri corti con gli Stati Uniti e con ciò che resta del blocco occidentale. Dove spiccano i nomi della sempre più ambiziosa Russia di Vladimir Putin (di questi tempi costretta a fare i conti con il crollo del prezzo del petrolio), dell'Iran di Mahmoud Ahmadinejad e del Venezuela di Hugo Chavez. Già oggi, la Russia si è assunta il ruolo di Paese protettore dell'Iran, a partire dal consiglio di sicurezza dell'Onu. E ha varato una strategia dell'attenzione nei confronti del Venezuela, che nelle scorse settimane si è concretizzata in esercitazioni militari congiunte nel Mar dei Caraibi. In parole povere, il Gecf rappresenta il tentativo di realizzare una saldatura tra Paesi che hanno tutto l'interesse a rendere la vita difficile all'Alleanza atlantica e ad usare, per finanziare i loro propositi, i soldi dei consumatori di gas dei Paesi che la compongono. Cioè, i soldi nostri.
Aggiornamento: Dal vertice di Mosca nasce «l'Opec del metano», cartello di 16 Paesi produttori (con Putin che annuncia la fine dell'era «del gas a buon mercato»).