Il ceto medio, le famiglie e il governo: intervista a Maurizio Sacconi

di Fausto Carioti

Approvato il pacchetto anti-crisi, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, approfitta del giorno di relativo riposo per spiegare a Libero il senso dei provvedimenti appena varati e anticipare i prossimi interventi. Quanto prima, infatti, il governo convocherà le Regioni per cambiare il modo con cui i fondi europei sono utilizzati. L’obiettivo è usare i soldi che arrivano da Bruxelles per finanziare i sussidi e la formazione e per creare nuove infrastrutture, anche allo scopo di mettere in circolazione denaro fresco e dare un po’ di ossigeno all’economia. Appena possibile, poi, l’esecutivo intende tornare al sistema delle deduzioni per carichi familiari (che riducono la base imponibile avvantaggiando le famiglie numerose), «colpevolmente» cancellato da Romano Prodi e Vincenzo Visco.

Ministro, è soddisfatto del decreto?
«Molto. C’è una visione chiara che tiene insieme la manovra di giugno e quella attuale».

Che tipo di visione?
«Da un lato la consapevolezza che questa è una grande crisi di sistema, che affonda le sue radici addirittura nello squilibrio demografico delle società occidentali. Dall’altro la convinzione che servano misure tempestive, mirate e temporanee, e allo stesso tempo occorrano interventi strutturali, cambiamenti profondi: noi abbiamo agito su ambedue questi fronti».

Eppure è impressione diffusa che vi siate scordati del ceto medio.
«Non è così. Da un lato abbiamo fatto un’azione mirata sui ceti più vulnerabili, che inevitabilmente comprendono i pensionati e il lavoro dipendente, soprattutto se collocato in una famiglia numerosa. Sapendo anche che, se si agisce sul reddito di questi ceti, è molto probabile che l’intervento si traduca subito in maggiori consumi. Ma dall’altro lato abbiamo irrobustito la detassazione del salario di produttività, che con una soglia di reddito di 35mila euro ormai abbraccia tutti gli impiegati e gli operai. Costoro potranno contare su una detassazione pari a 6.000 euro nel corso dell’anno. E qui già stiamo parlando di ceto medio».

Resta il fatto che molti italiani, incluso Berlusconi, si attendevano quella detassazione delle tredicesime che alla fine non c’è stata.
«Però è arrivata una “quattordicesima”. Anche nella discussione che si è svolta con le parti sociali, la detassazione delle tredicesime aveva il significato di un intervento mirato per il lavoro dipendente. Ed è proprio ciò che abbiamo fatto. Poi ognuno è libero di dire che si sarebbe dovuto fare di più o di meno. Ma il senso dell’operazione è lo stesso».

Che ne sarà quindi dell’impegno, scritto nel vostro programma elettorale, di detassare le tredicesime?
«Lo scopo complessivo della nostra proposta era attenuare la progressività del prelievo fiscale sul lavoro dipendente. Soprattutto quando ci sono elementi aggiuntivi collegati a merito, responsabilità e così via. È la direzione in cui ci siamo mossi in questi sei mesi».

Il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, dice che avete rinunciato a detassare gli straordinari perché avete capito che aveva ragione lui.
«No. Non l’abbiamo fatto perché, avendo risorse limitate, le abbiamo concentrate sui salari di produttività, che sono sempre stati il nostro obiettivo principale. Le stesse organizzazioni dei datori di lavoro, più Cisl e Uil, ci hanno detto che, per elevare ai 35mila euro la soglia di reddito per ottenere la detassazione dei salari di produttività, erano pronte a rinunciare alla detassazione degli straordinari».

Anche le partite Iva sentono i morsi della crisi.
«Non le abbiamo dimenticate. Abbiamo dedicato loro una fiscalità molto più attenta, prevedendo anche l’avvicinamento dell’Iva all’incasso. Per chi ha una società di capitali abbiamo pensato all’abbattimento dell’Ires. C’è la volontà di ridiscutere gli studi di settore. E non dimentichiamo tutte le misure di robusta deregolazione fiscale che abbiamo già varato».

Gli studi di settore possono essere ridiscussi in ambedue i sensi.
«È evidente che questa revisione sarà fatta proprio per tenere conto della grande crisi. Sarà introdotta anche una flessibilità maggiore, ad esempio usando gli “indicatori di normalità economica” senza automatismi».

Per il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, la direzione è giusta, ma bisognava fare di più.
«Non lo dice a noi, ma all’Europa. Sta dicendo che l’Europa deve avere più coraggio e dare al suo intervento una dimensione più alta».

E voi siete d’accordo.
«Sì. C’è una proposta di Tremonti che consiste nel chiedere all’Unione europea di finanziare le grandi infrastrutture attraverso l’emissione di titoli legati all’euro, in modo da sostenere la crescita anche attraverso l’iniezione di risorse per le opere pubbliche, la logistica e l’autosufficienza energetica».

Lei era convinto che la Cgil avrebbe rinunciato allo sciopero del 12 dicembre. Invece lo ha confermato.
«Peccato. Vuol dire che avevo ragione nel temere che la Cgil sia sempre meno un sindacato e sempre più un movimento politico».

A sinistra dicono che i 40 euro al mese che la social card darà ai più poveri sono un’elemosina.
«Questo è molto offensivo. Ci sono gli ultimi degli ultimi, le persone che frequentano le mense collettive per bisognosi, dei quali le organizzazioni di rappresentanza non si sono mai occupate. Abbiamo pensato che fosse doveroso intervenire sui loro bisogni primari e abbiamo fatto due cose senza precedenti».

Ovvero?
«Innanzitutto abbiamo avviato l’identificazione di quest’area della povertà assoluta. È un primo tentativo, bisognerà affinarlo, ma intanto lo abbiamo fatto. Come seconda cosa, nel modo più dignitoso possibile, con una card non riconoscibile, abbiamo introdotto una “infrastruttura”. Che adesso è stata riempita con quei soldi e con la possibilità di accedere alle tariffe sociali in modo semplice, senza fare file. Ma che in futuro si potrà riempire in molti altri modi».

Ad esempio?
«Con ulteriori sconti da parte della distribuzione, con iniziative del Banco alimentare e di altre associazioni... È un’infrastruttura creata per ricevere anche atti di liberalità dei privati e del settore non profit».

Quanto è alto il rischio che questo e gli altri interventi per le fasce più povere finiscano per avvantaggiare gli evasori fiscali?
«Per accedere alla carta occorre un atto volitivo diretto o compiuto tramite un mediatore, ed è difficile che lo faccia un evasore, il quale tende a nascondersi. Quanto agli altri interventi, esserci rivolti al lavoro dipendente è un po’ una garanzia».

Anche i dipendenti possono avere entrate in nero.
«Senza dubbio, ma le possibilità di abuso sono assai minori».

Intanto torna lo stato etico: avete introdotto la pornotax. Più tasse per l’industria dell’eros.
«Come già avviene con il tabacco e con i superalcolici. Fumare e bere non è proibito, ma la tassazione è diversa da quella che colpisce il pane. Ci sono generi voluttuari e generi primari, e tra questi generi si può avere una tassazione differenziata».

Lei prima ha posto l’accento sul problema dei problemi: il trend demografico. Per aiutare chi fa figli la soluzione c’è: si chiama quoziente familiare.
«Il punto di svolta sarà la reintroduzione delle deduzioni per carichi familiari, che sarà il nostro modo di avvicinarci all’idea del quoziente. Le avevamo già introdotte. Ma Prodi e Visco, colpevolmente, le sostituirono con le detrazioni».

Quando tornerete alle deduzioni?
«È un intervento strutturale che costa. Richiede una situazione di finanza pubblica stabile e prevedibile. Tremonti ha ragione a tenere alta la guardia».

È comunque un obiettivo di legislatura?
«Sì, lo è».

Quali interventi avete in cantiere per gennaio?
«Una partita importante riguarda un uso dei fondi europei molto più accorto ed efficace. Finora li abbiamo usati poco e male, ma in una fase come questa, in cui bisogna stare attenti anche a pochi euro, guai a noi se trascurassimo una tale montagna di risorse».

Come farete?
«Ci siederemo al tavolo con le Regioni per discutere come riutilizzare i fondi europei su due obiettivi: capitale umano e infrastrutture. I fondi dovranno servire a dare a tante persone sussidi combinati con formazione e a rendere più efficaci le spese in infrastrutture. Servirà una collaborazione vera, leale e straordinaria tra Stato e Regioni».

Intendete usare i fondi europei per finanziare la costruzione di opere pubbliche ed avviare così quel circolo virtuoso keynesiano di cui parla Tremonti?
«Sì».

Nel programma del Pdl era scritto che i soldi li avreste recuperati anche abolendo le province. Libero ne sta facendo una battaglia.
«Io sono un sostenitore accanito dell’abolizione delle province».

Perché?
«Perché da un lato, con il federalismo fiscale, ci accingiamo a rafforzare la dimensione regionale. Dall’altro dobbiamo offrire, quale dimensione intermedia, forme incentivate, o addirittura obbligatorie, di consorzi o associazioni tra comuni. Questo rende davvero superflua la provincia».

Nella maggioranza non sono tutti d’accordo.
«Lo so, ma Berlusconi ne ha parlato più volte. E la crisi può indurre tutti a riflessioni straordinarie». 

© Libero. Pubblicato il 3o novembre 2008.

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