Le ragioni di Israele e le colpe di Hamas

di Fausto Carioti

Le bombe sganciate dagli aerei con la stella di David sui miliziani di Hamas nella striscia di Gaza sono manna dal cielo per i tanti nemici di Israele che popolano le redazioni delle agenzie, dei telegiornali e dei quotidiani europei. «Oltre 200 morti» e «carneficina» sono le espressioni che rimbalzano nei titoli e nei primi commenti. Il tutto viene farcito con le foto dei civili palestinesi disperati e degli edifici colpiti, dove il rischio, come sempre quando di mezzo c’è Israele, è che la tragedia vera si mescoli alla messinscena (forse qualcuno ricorda Adnan Hajj, il fotografo libanese dell’agenzia Reuters che nell’estate del 2006 ritoccava al computer le fotografie dei bombardamenti israeliani su Beirut per farle apparire più cruente, o le scenografie organizzate da Hezbollah, che davanti alle telecamere occidentali faceva accendere le sirene alle ambulanze vuote allo scopo di “drammatizzare” la situazione). Quindi lo Stato di Israele è malvagio ed è «come il Terzo Reich» (tempo qualche ora e qualcuno tornerà a dirlo), e le Nazioni Unite e la comunità internazionale devono intervenire per far cessare il «massacro». Insomma, antisemiti e antisionisti possono finalmente rialzare la testa, e in queste ore per loro sembra tutto davvero molto facile. Basta tacere sull’altra metà (una metà molto abbondante) della storia e il gioco è fatto.

I morti della striscia di Gaza, infatti, prima che a Israele debbono essere imputati ai fedayn di Hamas, il movimento di resistenza legato ai Fratelli Musulmani, che nel gennaio del 2006 ha vinto le elezioni palestinesi promettendo la distruzione di Israele, nel 2007 si è sbarazzato dei suoi alleati “moderati” di Al Fatah, uccidendoli casa per casa ed assumendo così il pieno controllo della striscia di Gaza, e pochi giorni fa ha dichiarato di considerare chiusa la tregua scaduta il 19 dicembre e durata sei mesi, durante i quali i proiettili di mortaio e i razzi Qassam costruiti in garage dai miliziani di Hamas avevano continuato a piovere sulle case e le strade dei territori nel sud di Israele. A ufficializzare la rottura della tregua, negli ultimi giorni i razzi diretti contro Israele erano aumentati, anche se la loro costruzione approssimativa aveva fatto sì che le uniche vittime fossero due sorelline palestinesi, di 5 e 13 anni.

La verità è che la tregua è stata un’eccezione: per Hamas la normalità sono la guerra contro Israele e i morti che ne derivano, e anche questa volta è riuscita ad ottenerli. La vera ragion d’essere dell’organizzazione palestinese, infatti, non è trattare con lo stato d’Israele, ma distruggerlo. «Cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione», si legge nello statuto di Hamas, che - ovviamente - intende per Palestina anche ogni zolla di terra dello Stato d’Israele. Così come debbono essere distrutti tutti gli ebrei, secondo l’indicazione di Maometto: «L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno». Perché Hamas non è paragonabile a quei partiti occidentali che, sebbene invischiati con il terrorismo, hanno obiettivi politici e con i quali, quindi, si può trovare un accordo. È un’organizzazione religiosa e militare che (articolo 1 dello statuto) «dall’Islam deriva le sue idee e i suoi precetti fondamentali, nonché la visione della vita, dell’universo e dell’umanità; e giudica tutte le sue azioni secondo l’Islam».

Essendo lo scopo di Hamas l’attuazione della volontà di Allah, che premia i suoi martiri con 72 mogli vergini e altre ricompense ultraterrene, ogni tentativo di stringere accordi con i fedayn palestinesi è destinato a fallire e ogni tregua può essere solo temporanea e funzionale al riarmo in vista della nuova aggressione a Israele. Per lo stesso motivo, ogni equivalenza morale tra Hamas e Israele è impossibile. Da un lato, infatti, non c’è nessun rispetto per la vita, nemmeno per la propria («È nostro diritto difenderci con tutti i mezzi possibili, ivi compresi gli attentati suicidi», ha ribadito nei giorni scorsi un portavoce di Hamas), si puntano i razzi contro gli insediamenti civili israeliani, allo scopo di fare quanti più morti possibile, e si annidano i propri combattenti, primi tra tutti i poliziotti di Hamas, negli stessi edifici in cui vivono le famiglie palestinesi: sia per usarle come scudo, sia perché ogni civile ucciso per errore da un razzo israeliano è un’arma in più per la propaganda. Sul fronte opposto, invece, c’è chi fa il possibile per colpire solo gli obiettivi militari e ridurre al minimo il numero delle vittime civili. I primi dati dicono che il 95 per cento delle bombe israeliane sganciate ieri ha raggiunto l’obiettivo e lo stesso ministro degli Interni di Hamas ha dovuto ammettere che tutte le infrastrutture della sua organizzazione nella striscia di Gaza, incluso il quartier generale, sono state colpite, a conferma della precisione del raid.

Per inciso, l’atteggiamento guerrafondaio dei miliziani palestinesi è anche la sconfitta di quei governi europei, tipo quello guidato da Romano Prodi, che lo scorso anno avevano scommesso su Hamas, convinti che l’organizzazione terroristica, chiamata a governare, sarebbe diventata un interlocutore politico affidabile per Israele e i paesi occidentali. Certo, la tragedia vera è quella dei palestinesi, che autentici macellai desiderosi di scatenare l’Armageddon su Israele hanno trascinato sotto il fuoco degli aerei nemici. Ma è anche vero che questi macellai i palestinesi se li sono scelti come rappresentanti, mediante libere elezioni alle quali Hamas si era presentata promettendo quello che ha poi realizzato.

© Libero. Pubblicato il 28 dicembre 2008.

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