L'"Operazione trasparenza" e il sindacato oscuro

di Fausto Carioti

I numeri diffusi dal ministero della Funzione Pubblica non svelano nessun segreto di Stato. Distacchi (retribuiti) e permessi sindacali (idem) sono previsti dalla legge e dai contratti collettivi. Tutti sanno che ci sono. Di nuovo, da ieri, sappiamo solo quanto l’attività sindacale pesa sulla pubblica amministrazione e sulle tasche dei contribuenti: un milione e 369mila giornate lavorative l’anno, per un costo, non piccolo, di 121,4 milioni di euro. Come si spiegano, allora, l’imbarazzo (evidente) e l’ostilità (celata a fatica) con cui Cgil, Cisl, Uil e le altre sigle hanno accolto la pubblicazione di queste cifre da parte del ministro Renato Brunetta? Semplice: si spiegano con l’abitudine pluridecennale dei sindacati di fare tutto all’oscuro dei cittadini. Che poi sarebbero i loro finanziatori, ma siccome si tratta di finanziatori spesso inconsapevoli, meglio che continuino a rimanere tali. Nel torbido si pesca meglio.

I sindacati italiani sono “oscuri” in quasi tutti gli aspetti della loro esistenza. L’articolo 39 della Costituzione stabilisce che l’unica condizione richiesta alle organizzazioni sindacali è «un ordinamento interno a base democratica». Peccato che la democrazia, ovvero la conta dei numeri, sia aliena dalla logica sindacale. Non esiste - anche perché i sindacati non la vogliono - una legge che misuri e regoli il loro potere di rappresentanza. Non è trasparente né democratico nemmeno il modo con cui i sindacati ottengono nuovi iscritti e mantengono quelli che già hanno. Nel 1995 gli italiani, tramite referendum, con il 56% dei voti abrogarono la norma che obbliga i datori di lavoro a versare ai sindacati, automaticamente, le quote per conto dei lavoratori iscritti. I sindacati dissero che quel voto era un attentato alla democrazia. In realtà non è cambiato nulla: scomparsa dall’ordinamento giuridico italiano, la norma è stata inserita negli accordi contrattuali di lavoro. Il rinnovo del tesseramento è automatico, cioè va avanti sino a quando il lavoratore non comunica formalmente di voler ritirare la sua iscrizione. E sfilarsi, specie se sei un dipendente pubblico, non è cosa semplice: se la delega non è revocata entro il 31 ottobre, lo sventurato resta iscritto al sindacato e continua a pagare per l’intero anno seguente.

Poi ci sono le iscrizioni che i sindacati ottengono “aiutando” i pensionati a compilare i moduli per la pensione di vecchiaia: tra le tante firmette da apporre, una - tutt’altro che obbligatoria - delega l’Inps a trattenere ogni mese, dal sudato assegno, le quote da girare al sindacato. Se l’interessato non presenta disdetta, il prelievo va avanti fino al suo passaggio a miglior vita. Anche in questo caso il ritiro della delega non è immediato, ma fa effetto solo dopo tre mesi.

Oscuri nel finanziamento, i sindacati non possono certo diventare limpidi al momento di presentare il rendiconto. Le imprese quotate in Borsa sono obbligate a dare conto di ogni spicciolo che incassano e dell’uso che ne fanno. Ma i sindacati, associazioni i cui azionisti - volenti o nolenti - sono tutti i contribuenti italiani, si guardano bene dal presentare un bilancio trasparente, dallo spiegare le ragioni degli ammanchi che spesso si verificano nelle camere del lavoro territoriali e dal dare conto di quanto arriva da ogni voce di finanziamento, inclusi i cosiddetti “enti collaterali” come i patronati sindacali, i centri di assistenza fiscale, gli enti di formazione, le associazioni dei consumatori e gli enti di cooperazione allo sviluppo internazionale.

Una filosofia, insomma, opposta a quella che Brunetta sta cercando di portare nella pubblica amministrazione, che con i suoi 3,4 milioni di dipendenti è di gran lunga il primo datore di lavoro d’Italia. Dopo gli stipendi dei dirigenti del suo ministero e l’elenco dei consulenti di tutte le amministrazione d’Italia - almeno di quelle che hanno collaborato all’iniziativa del ministro, tra cui non figura, ad esempio, la magistratura - la pubblicazione dei dati relativi a distacchi e permessi sindacali serve proprio a far capire ai cittadini che fine fanno i loro soldi.

Perché il bello, nonostante quel che ne pensa Tommaso Padoa-Schioppa, non consiste nel pagare le tasse, ma nel sapere che lo Stato ha usato i tuoi soldi in modo decente o, in alternativa, nel mandare a casa, a calci nel sedere, chi li ha sprecati. È il principio, molto liberale, del “conoscere per deliberare”. «Operazione trasparenza» la chiama il ministro. Il giorno che il sindacato farà qualcosa di simile ne guadagneranno tutti. Lavoratori e contribuenti per primi.

© Libero. Pubblicato il 28 giugno 2008.

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