Perché la Chiesa non può prescindere da Berlusconi

di Fausto Carioti

Nel giorno in cui tutti incensano Beppino Englaro e lo consacrano nuova icona del pensiero laico, Silvio Berlusconi fa una scelta che più controcorrente e antimoderna non si può. Scrive una lettera scarna, priva di retorica, alle suore Misericordine di Lecco, quelle che accudirono Eluana per diciassette anni. Il presidente del Consiglio le ringrazia «per la discreta e tenace testimonianza di bene e di amore» data in questi anni e si dice rammaricato per non aver potuto evitare la morte della ragazza. Quindi chiede alle suorine di pregare per l’Italia. L’errore che la sinistra non deve fare, e che invece ieri ha puntualmente ripetuto, è quello di interpretare anche queste poche righe come l’ennesima trovata politica del Cavaliere. Perché, se c’è una occasione in cui Berlusconi e i suoi hanno agito più con il cuore che con le logiche della convenienza, è stata proprio la vicenda di Eluana.

Lo confermano i colloqui privati che ebbe il Cavaliere in quei giorni, ma soprattutto lo confermano i fatti pubblici: il premier e il PdL avrebbero avuto tutto l’interesse a tenere buono il rapporto con il Quirinale e a non spaccare l’opinione pubblica - e quella dello stesso centrodestra - su un tema così complesso e trasversale. Invece tirarono dritto, e nei confronti di Giorgio Napolitano al Senato fu lanciata l’accusa, manco troppo velata, di essersi reso oggettivamente complice di un omicidio. Avessero pensato solo alle norme sulla giustizia e agli affaracci loro, come piace dipingerli all’opposizione, tutto questo non sarebbe successo. A maggior ragione, un anno dopo, Berlusconi si sarebbe risparmiato l’iniziativa di ieri, che ha avuto l’effetto immediato di far irrigidire Gianfranco Fini.

Ma proprio questo atteggiamento di Berlusconi spiega quello che la sinistra trova scandaloso e incomprensibile: che il rapporto tra il Cavaliere e la Chiesa cattolica, e in particolar modo con i vertici della Conferenza episcopale italiana, riesca a resistere a tutto, incluso il caso delle dimissioni di Dino Boffo da Avvenire, il quotidiano della Cei, nelle quali ha avuto un ruolo decisivo il quotidiano della famiglia Berlusconi. Se i vertici della Cei non mollano il PdL e il governo non è certo per simpatia verso Berlusconi o per approvazione della sua condotta privata, ma perché solo il PdL, sui temi “irrinunciabili” del papato di Benedetto XVI - come testamento biologico, pillola abortiva e difesa della famiglia formata da uomo e donna - dà quelle garanzie politiche che persino l’Udc di Pier Ferdinando Casini, impegnata a tenere viva la fiamma del forno con il Pd alle elezioni regionali, non può più dare.

E sarà un caso, ma proprio con l’avvicinarsi del voto di fine marzo si intensificano i segnali dalle colonne di Avvenire, tutti con un messaggio molto chiaro: spiegare con chi deve stare il popolo cattolico. Ieri è toccato a Marco Tarquinio, successore di Boffo alla guida del quotidiano dei vescovi italiani, scrivere che «quando le cose, dentro di noi e nelle comunità di cui facciamo parte, sono così chiare, è facile capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Chi sta con la vita - chi è per la vita - mai la ferisce e mai arbitrariamente la finisce. Chi coltiva un’idea di morte - chi si allea con la morte - fa l’esatto contrario». È questo il vero spartiacque per i vertici della Chiesa italiana, davanti al quale tutto il resto è secondario, a partire dalla questione sociale (almeno finché Joseph Ratzinger sarà papa, e anche di questo la sinistra dovrebbe farsene una ragione).

© Libero. Pubblicato il 10 febbraio 2010.

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