Berlusconi nel Kindergarten
di Fausto Carioti
Che succede attorno a Silvio Berlusconi, costretto ieri ad alzare la voce per rimettere ordine nel Kindergarten chiamato PdL? Almeno tre cose. La prima è che Denis Verdini è stato infilzato dall’inchiesta di Firenze, e che adesso l’attenzione degli inquirenti pare spostarsi su Gianni Letta. Il quale - tanto per essere chiari - non essendo parlamentare, non gode della relativa immunità. La seconda è che si è capito che le elezioni regionali non saranno, per il PdL, quella vendemmia che ci si attendeva qualche settimana fa. Il terzo evento è la definizione delle liste elettorali, che da quando esiste la democrazia è il momento di maggiore conflittualità interna per ogni partito. Stavolta, poi, si tratta delle ultime elezioni degne di nota sino al 2013: chi non riuscirà a piazzarsi in questo giro, resterà scoperto sino alle elezioni politiche. Ma la composizione delle liste, quantomeno, è destinata a concludersi in breve tempo. Le prime, invece, sono due situazioni che peseranno a lungo.
Il Popolo delle Libertà si regge sul delicato equilibrio delle sue tre gambe: il PdL “governativo”, che ovviamente ha la maggiore visibilità, cui fanno capo ministri e sottosegretari; il PdL “parlamentare”, che poggia sul lavoro dei capigruppo e vice-capigruppo del Senato e della Camera (Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto e Italo Bocchino) e il PdL “partito”, retto dai tre coordinatori (Verdini, Sandro Bondi e Ignazio La Russa). Tra queste anime l’atmosfera non è sempre idilliaca, se non altro per il fatto che il partito, e soprattutto i gruppi parlamentari, hanno il compito, spesso poco gradevole, di portare acqua al mulino dell’esecutivo.
Come nelle migliori aziende, però, finché si fanno profitti c’è gloria per tutti. Anche le prossime elezioni regionali andranno bene, se si prende come riferimento la situazione attuale, che vede la sinistra governare in undici delle tredici regioni in palio. Ma rispetto alle aspettative trionfali di qualche settimana fa, il bilancio non potrà che essere più magro. E bisogna aggiungere che il Veneto, una delle poche regioni “sicure”, andrà a un esponente della Lega. Insomma, con ogni probabilità il PdL non conquisterà la maggioranza delle regioni in cui si vota. Però incrementerà i suoi governatori e, se conquisterà Lazio e Campania (cosa niente affatto scontata), potrà anche dire di controllare le regioni più ricche e popolate. Resta il fatto che la vittoria dilagante, che avrebbe dovuto ridurre il Pd a un «partito appenninico», appare fuori portata.
Questo da solo, forse, non sarebbe bastato a scatenare lo scaricabarile preventivo al quale stiamo assistendo. Che però ha preso il via nel momento in cui si è saputo che Verdini è indagato per corruzione. E siccome tocca al partito definire le liste elettorali e aiutare i candidati, mentre il governo non si muove - gli interventi di spesa chiesti da Berlusconi e dai ministri più sensibili al tema elettorale, come Renato Brunetta, ricevono rifiuti continui da parte di Giulio Tremonti - ai piani alti del PdL l’aria si è fatta pesante. I mal di pancia dei dirigenti locali che non saranno candidati a causa dell’operazione “liste pulite” non rasserenano certo il clima. E leggere che, in caso di risultati poco brillanti alle regionali, Berlusconi potrebbe lasciare la guida del partito al solo Bondi, magari affiancato dal finiano Italo Bocchino, ha fatto saltare il tappo.
La Russa, che non ha intenzione di diventare il capro espiatorio, ieri si è detto pronto a fare «un passo indietro», lasciando subito il ruolo di coordinatore. La sua è una sfida: se esistono soluzioni migliori, avanti. Ma è chiaro che nulla può cambiare, di sicuro fino alle regionali e magari ben oltre, anche perché il tandem Bondi-Bocchino suscita nel partito diverse perplessità. Lo ha capito benissimo Berlusconi, che ieri ha difeso Verdini da chi, nel PdL, lo colpisce alle spalle: gente che usa la stampa «per giochi di potere personali, per cercare di indebolire chi, come l’onorevole Verdini, si è speso e si spende giorno per giorno per costruire la struttura del PdL».
Le sue parole nette blindano, almeno per ora, il coordinatore indagato, e confermano l’attuale assetto del partito. È vero anche, però, che se la difesa di Berlusconi fosse arrivata tre giorni prima, il PdL si sarebbe risparmiato tante fibrillazioni. Ma il premier - che chi ci ha parlato definisce «stanco e preoccupato» - aveva per la testa il caso di Gianni Letta, che potrebbe essere il prossimo a finire nel tritacarne. Ieri la Stampa annunciava «nuovi arresti in arrivo» e ipotizzava l’esistenza di un fascicolo con la registrazione di telefonate tra Letta e Guido Bertolaso. Dovesse accadere qualcosa del genere, ci vorrà tutto l’impegno di Berlusconi per impedire che la faida degli ultimi giorni si ripeta, ma con toni molto più esasperati.
© Libero. Pubblicato il 21 febbraio 2010.
Che succede attorno a Silvio Berlusconi, costretto ieri ad alzare la voce per rimettere ordine nel Kindergarten chiamato PdL? Almeno tre cose. La prima è che Denis Verdini è stato infilzato dall’inchiesta di Firenze, e che adesso l’attenzione degli inquirenti pare spostarsi su Gianni Letta. Il quale - tanto per essere chiari - non essendo parlamentare, non gode della relativa immunità. La seconda è che si è capito che le elezioni regionali non saranno, per il PdL, quella vendemmia che ci si attendeva qualche settimana fa. Il terzo evento è la definizione delle liste elettorali, che da quando esiste la democrazia è il momento di maggiore conflittualità interna per ogni partito. Stavolta, poi, si tratta delle ultime elezioni degne di nota sino al 2013: chi non riuscirà a piazzarsi in questo giro, resterà scoperto sino alle elezioni politiche. Ma la composizione delle liste, quantomeno, è destinata a concludersi in breve tempo. Le prime, invece, sono due situazioni che peseranno a lungo.
Il Popolo delle Libertà si regge sul delicato equilibrio delle sue tre gambe: il PdL “governativo”, che ovviamente ha la maggiore visibilità, cui fanno capo ministri e sottosegretari; il PdL “parlamentare”, che poggia sul lavoro dei capigruppo e vice-capigruppo del Senato e della Camera (Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto e Italo Bocchino) e il PdL “partito”, retto dai tre coordinatori (Verdini, Sandro Bondi e Ignazio La Russa). Tra queste anime l’atmosfera non è sempre idilliaca, se non altro per il fatto che il partito, e soprattutto i gruppi parlamentari, hanno il compito, spesso poco gradevole, di portare acqua al mulino dell’esecutivo.
Come nelle migliori aziende, però, finché si fanno profitti c’è gloria per tutti. Anche le prossime elezioni regionali andranno bene, se si prende come riferimento la situazione attuale, che vede la sinistra governare in undici delle tredici regioni in palio. Ma rispetto alle aspettative trionfali di qualche settimana fa, il bilancio non potrà che essere più magro. E bisogna aggiungere che il Veneto, una delle poche regioni “sicure”, andrà a un esponente della Lega. Insomma, con ogni probabilità il PdL non conquisterà la maggioranza delle regioni in cui si vota. Però incrementerà i suoi governatori e, se conquisterà Lazio e Campania (cosa niente affatto scontata), potrà anche dire di controllare le regioni più ricche e popolate. Resta il fatto che la vittoria dilagante, che avrebbe dovuto ridurre il Pd a un «partito appenninico», appare fuori portata.
Questo da solo, forse, non sarebbe bastato a scatenare lo scaricabarile preventivo al quale stiamo assistendo. Che però ha preso il via nel momento in cui si è saputo che Verdini è indagato per corruzione. E siccome tocca al partito definire le liste elettorali e aiutare i candidati, mentre il governo non si muove - gli interventi di spesa chiesti da Berlusconi e dai ministri più sensibili al tema elettorale, come Renato Brunetta, ricevono rifiuti continui da parte di Giulio Tremonti - ai piani alti del PdL l’aria si è fatta pesante. I mal di pancia dei dirigenti locali che non saranno candidati a causa dell’operazione “liste pulite” non rasserenano certo il clima. E leggere che, in caso di risultati poco brillanti alle regionali, Berlusconi potrebbe lasciare la guida del partito al solo Bondi, magari affiancato dal finiano Italo Bocchino, ha fatto saltare il tappo.
La Russa, che non ha intenzione di diventare il capro espiatorio, ieri si è detto pronto a fare «un passo indietro», lasciando subito il ruolo di coordinatore. La sua è una sfida: se esistono soluzioni migliori, avanti. Ma è chiaro che nulla può cambiare, di sicuro fino alle regionali e magari ben oltre, anche perché il tandem Bondi-Bocchino suscita nel partito diverse perplessità. Lo ha capito benissimo Berlusconi, che ieri ha difeso Verdini da chi, nel PdL, lo colpisce alle spalle: gente che usa la stampa «per giochi di potere personali, per cercare di indebolire chi, come l’onorevole Verdini, si è speso e si spende giorno per giorno per costruire la struttura del PdL».
Le sue parole nette blindano, almeno per ora, il coordinatore indagato, e confermano l’attuale assetto del partito. È vero anche, però, che se la difesa di Berlusconi fosse arrivata tre giorni prima, il PdL si sarebbe risparmiato tante fibrillazioni. Ma il premier - che chi ci ha parlato definisce «stanco e preoccupato» - aveva per la testa il caso di Gianni Letta, che potrebbe essere il prossimo a finire nel tritacarne. Ieri la Stampa annunciava «nuovi arresti in arrivo» e ipotizzava l’esistenza di un fascicolo con la registrazione di telefonate tra Letta e Guido Bertolaso. Dovesse accadere qualcosa del genere, ci vorrà tutto l’impegno di Berlusconi per impedire che la faida degli ultimi giorni si ripeta, ma con toni molto più esasperati.
© Libero. Pubblicato il 21 febbraio 2010.