Gli imbarazzi di Bersani sul caso Bertolaso
di Fausto Carioti
Occhio al Partito democratico. E occhio a Pier Luigi Bersani. In piena campagna elettorale, incalzato da Antonio Di Pietro, che più di una volta lo ha costretto a seguirlo sulle sue posizioni, il segretario del Pd sta maneggiando la vicenda che vede coinvolti Guido Bertolaso, la Protezione civile e diversi costruttori, con una cautela estrema, inusuale per un partito d’opposizione. Bertolaso, fedelissimo di Gianni Letta, è un uomo chiave nello schema berlusconiano: a lui si devono la soluzione dell’emergenza rifiuti in Campania e la soluzione dell’emergenza abitativa in Abruzzo dopo il terremoto, tanto che Silvio Berlusconi era pronto a nominarlo ministro. Insomma, affondare lui vuol dire colpire almeno metà delle cose buone fatte dal governo. Eppure Bersani si è guardato bene dal chiedere le dimissioni di Bertolaso, limitandosi a rimettere la questione alla sua «sensibilità». Ieri il leader del Pd è intervenuto per dire che «eventuali responsabilità personali saranno stabilite dalla magistratura»: un atteggiamento garantista, ben diverso da quello del minoritario Dario Franceschini e dell’alleato-rivale Di Pietro, che hanno chiesto a Bertolaso di andarsene.
L’Italia dei Valori ha già presentato alla Camera una mozione di sfiducia, nella quale si chiede al governo di «invitare Guido Bertolaso a confermare la sua sensibilità istituzionale rassegnando le dimissioni». Bene, dal Pd hanno fatto sapere che non appoggeranno questa mozione: o voteranno contro di essa o sceglieranno di astenersi. Così il primo effetto di questo nuovo tourbillon di politica, soldi e (presunto) sesso è la spaccatura dell’opposizione. Non male, come biglietto da visita in vista delle regionali.
A differenza di Di Pietro, e di quanto vorrebbero molti suoi elettori, Bersani ha preferito concentrare le critiche sul decreto che dovrebbe trasformare la Protezione civile in società per azioni. Argomento tecnico di non facile comprensibilità per il popolo di sinistra. Il minimo sindacale, insomma.
Come mai Bersani è così cauto? L’atteggiamento da sinistra “responsabile” che vuole dare al suo partito forse c’entra, ma di sicuro non spiega tutto: in altri casi Bersani non si è fatto problemi a legarsi al carro dipietrista. L’unica cosa concreta, sinora, sono le carte dell’ordinanza di custodia cautelare disposta dal Gip di Firenze. E lì, come spiega in queste pagine Franco Bechis, appare un nome che nella storia dei Ds, soprattutto di quelli della capitale - dove il centrosinistra, con Francesco Rutelli e con Walter Veltroni, ha comandato dal 1993 al 2008 - vuol dire qualcosa. È il nome di Emiliano Cerasi, uno dei costruttori romani più attivi in questi anni.
Vicinissimo all’ex sindaco Veltroni, Cerasi è stato anche in grado di aggiudicarsi l’appalto per la costruzione del nuovo Teatro della Musica di Firenze. Nell’ordinanza si legge che questa gara era stata «inizialmente illecitamente promessa, dall’ingegner Balducci, all’Impresa Giafi Costruzioni Spa, riferibile all’imprenditore Carducci Valerio». Ma poi era stata aggiudicata all’impresa Sac Spa, «riferibile all’imprenditore Cerasi Emiliano, che, secondo quanto emerso dai dialoghi intercettati, aveva pure goduto di illecite pressioni politiche in favore della sua impresa». In parole povere, secondo il Gip fiorentino Rosario Lupo, le «illecite pressioni politiche» spese in favore di Cerasi erano state persino più forti del sistema di potere che aveva garantito tanti appalti agli amici di Angelo Balducci, il presidente del Comitato superiore dei lavori pubblici arrestato mercoledì e interrogato ieri.
L’ordinanza non dice da quali politici provenissero queste pressioni. Non resta che provare a dedurlo dalla storia e dalle amicizie di Cerasi. Molte delle quali, peraltro, sono di dominio pubblico, avendo partecipato - lui e gli altri membri della sua famiglia - alle cene elettorali per finanziare la corsa a sindaco di Rutelli e di Veltroni. Pure Balducci, del resto, vanta ottimi rapporti con la sinistra, e ha ricoperto incarichi di vertice nell’assegnazione dei lavori pubblici anche sotto il governo Prodi.
Questo non vuol dire che Bersani e il suo partito debbano avere a tutti i costi qualcosa da temere. Vuol dire, però, che un filo che conduce a loro, con ogni probabilità, tra quelle carte già c’è. E spesso le inchieste finiscono anche per andare a guardare dove non dovrebbero. Nel dubbio, meglio essere molto cauti. Proprio come sta facendo Bersani.
© Libero. Pubblicato il 13 febbraio 2010.
Aggiornamento. Oggi della stessa questione si è occupato anche il Corriere della Sera. Capita l'aria, questa mattina Bersani è uscito dall'impasse dicendo che Bertolaso deve dare le dimissioni: «Spero che lo capisca da solo, se no bisognerà chiederle». Tutto da capire, ancora, se il Pd appoggerà la mozione dell'Idv.
Occhio al Partito democratico. E occhio a Pier Luigi Bersani. In piena campagna elettorale, incalzato da Antonio Di Pietro, che più di una volta lo ha costretto a seguirlo sulle sue posizioni, il segretario del Pd sta maneggiando la vicenda che vede coinvolti Guido Bertolaso, la Protezione civile e diversi costruttori, con una cautela estrema, inusuale per un partito d’opposizione. Bertolaso, fedelissimo di Gianni Letta, è un uomo chiave nello schema berlusconiano: a lui si devono la soluzione dell’emergenza rifiuti in Campania e la soluzione dell’emergenza abitativa in Abruzzo dopo il terremoto, tanto che Silvio Berlusconi era pronto a nominarlo ministro. Insomma, affondare lui vuol dire colpire almeno metà delle cose buone fatte dal governo. Eppure Bersani si è guardato bene dal chiedere le dimissioni di Bertolaso, limitandosi a rimettere la questione alla sua «sensibilità». Ieri il leader del Pd è intervenuto per dire che «eventuali responsabilità personali saranno stabilite dalla magistratura»: un atteggiamento garantista, ben diverso da quello del minoritario Dario Franceschini e dell’alleato-rivale Di Pietro, che hanno chiesto a Bertolaso di andarsene.
L’Italia dei Valori ha già presentato alla Camera una mozione di sfiducia, nella quale si chiede al governo di «invitare Guido Bertolaso a confermare la sua sensibilità istituzionale rassegnando le dimissioni». Bene, dal Pd hanno fatto sapere che non appoggeranno questa mozione: o voteranno contro di essa o sceglieranno di astenersi. Così il primo effetto di questo nuovo tourbillon di politica, soldi e (presunto) sesso è la spaccatura dell’opposizione. Non male, come biglietto da visita in vista delle regionali.
A differenza di Di Pietro, e di quanto vorrebbero molti suoi elettori, Bersani ha preferito concentrare le critiche sul decreto che dovrebbe trasformare la Protezione civile in società per azioni. Argomento tecnico di non facile comprensibilità per il popolo di sinistra. Il minimo sindacale, insomma.
Come mai Bersani è così cauto? L’atteggiamento da sinistra “responsabile” che vuole dare al suo partito forse c’entra, ma di sicuro non spiega tutto: in altri casi Bersani non si è fatto problemi a legarsi al carro dipietrista. L’unica cosa concreta, sinora, sono le carte dell’ordinanza di custodia cautelare disposta dal Gip di Firenze. E lì, come spiega in queste pagine Franco Bechis, appare un nome che nella storia dei Ds, soprattutto di quelli della capitale - dove il centrosinistra, con Francesco Rutelli e con Walter Veltroni, ha comandato dal 1993 al 2008 - vuol dire qualcosa. È il nome di Emiliano Cerasi, uno dei costruttori romani più attivi in questi anni.
Vicinissimo all’ex sindaco Veltroni, Cerasi è stato anche in grado di aggiudicarsi l’appalto per la costruzione del nuovo Teatro della Musica di Firenze. Nell’ordinanza si legge che questa gara era stata «inizialmente illecitamente promessa, dall’ingegner Balducci, all’Impresa Giafi Costruzioni Spa, riferibile all’imprenditore Carducci Valerio». Ma poi era stata aggiudicata all’impresa Sac Spa, «riferibile all’imprenditore Cerasi Emiliano, che, secondo quanto emerso dai dialoghi intercettati, aveva pure goduto di illecite pressioni politiche in favore della sua impresa». In parole povere, secondo il Gip fiorentino Rosario Lupo, le «illecite pressioni politiche» spese in favore di Cerasi erano state persino più forti del sistema di potere che aveva garantito tanti appalti agli amici di Angelo Balducci, il presidente del Comitato superiore dei lavori pubblici arrestato mercoledì e interrogato ieri.
L’ordinanza non dice da quali politici provenissero queste pressioni. Non resta che provare a dedurlo dalla storia e dalle amicizie di Cerasi. Molte delle quali, peraltro, sono di dominio pubblico, avendo partecipato - lui e gli altri membri della sua famiglia - alle cene elettorali per finanziare la corsa a sindaco di Rutelli e di Veltroni. Pure Balducci, del resto, vanta ottimi rapporti con la sinistra, e ha ricoperto incarichi di vertice nell’assegnazione dei lavori pubblici anche sotto il governo Prodi.
Questo non vuol dire che Bersani e il suo partito debbano avere a tutti i costi qualcosa da temere. Vuol dire, però, che un filo che conduce a loro, con ogni probabilità, tra quelle carte già c’è. E spesso le inchieste finiscono anche per andare a guardare dove non dovrebbero. Nel dubbio, meglio essere molto cauti. Proprio come sta facendo Bersani.
© Libero. Pubblicato il 13 febbraio 2010.
Aggiornamento. Oggi della stessa questione si è occupato anche il Corriere della Sera. Capita l'aria, questa mattina Bersani è uscito dall'impasse dicendo che Bertolaso deve dare le dimissioni: «Spero che lo capisca da solo, se no bisognerà chiederle». Tutto da capire, ancora, se il Pd appoggerà la mozione dell'Idv.