Un'alleanza elettorale e nulla più

di Fausto Carioti

Nessuno s’illudeva che la nascita del nuovo partito sarebbe stata facile e veloce, ma di sicuro ci si attendeva qualcosa di meglio di questo. Alla sua prima prova dopo il voto, il PdL sta lasciando una punta di amaro in bocca agli elettori. Se in pochi se ne lamentano è perché la vittoria del centrodestra alle urne è stata così netta e lo tsunami elettorale tanto violento che tutto il resto passerà in cavalleria, almeno per un po’. Ma l’impressione che il Popolo della libertà sia molto lontano dal diventare un partito unitario, e che si tratti ancora di una semplice alleanza elettorale tra due grandi entità distinte, è forte.

Il loro lato peggiore Forza Italia e An lo stanno mostrando nella formazione del governo. Se il giorno dopo la vittoria Silvio Berlusconi smaniava per la voglia di rendere subito operativo il suo nuovo esecutivo e malediceva i tempi lunghi dei rituali romani, adesso è costretto a usare ogni giorno a disposizione per ritoccare la lista di ministri, viceministri e sottosegretari. Per paradosso, la vittoria imprevista di Gianni Alemanno a Roma, invece di mettere le ali al partito unitario, ha reso la vita più difficile a tutti, facendo affiorare egoismi di parte. Comprensibili per gli uomini dei due partiti, ma inspiegabili agli occhi di tanti elettori, che pensavano di aver votato qualcosa di nuovo e di diverso e ora sono costretti rivivere scene che si sarebbero risparmiati volentieri.

La poltrona del sindaco della capitale è stata messa sulla bilancia e valutata quanto quella di un ministro con portafoglio. Così il dicastero del Welfare è uscito dall’orbita di An per virare verso Forza Italia. An punta i piedi e dice che non se ne parla: tre ministeri di prima fascia doveva ottenere e tre ne avrà: la conquista di Roma è un titolo di merito, non può penalizzare il partito di Gianfranco Fini. Silvio Berlusconi risponde che senza i voti degli elettori forzisti il Campidoglio sarebbe rimasto alla sinistra e rilancia offrendo due ministeri importanti (Difesa e Infrastrutture) e due senza portafoglio (Politiche comunitarie e Politiche giovanili o Pari opportunità). Alla fine il Cavaliere dovrebbe spuntarla, magari aggiungendo alla proposta una poltrona da viceministro.

Nulla di scandaloso in questi mercanteggiamenti, per carità. C’è solo la banale constatazione che le vecchie abitudini non sono passate di moda e che il partito di Berlusconi e quello di Fini continuano a ragionare come semplici alleati di un cartello elettorale, ognuno con i suoi voti e le sue vittorie da rivendicare di fronte all’altro. Certo, nulla di paragonabile alla faida che mettono in scena tutti i giorni ds e margheritini, veltroniani e dalemiani, nel tormentato loft veltroniano. Ma il confronto è improponibile: quella in atto nel partito democratico è una tristissima guerra per litigarsi le briciole e addossarsi l’un l’altro la colpa della batosta, e come tutte le guerre tra poveri abbonda di crudeltà.

Ci vorrà tempo per dare agli elettori del centrodestra un partito veramente unito, ma intanto, nel giro di poche ore, si può mettere fine al braccio di ferro sulla composizione del governo. Un primo segnale positivo è arrivato ieri dal Parlamento. Il gruppo unico del PdL a palazzo Madama, composto da tutti i senatori di Forza Italia e An, ha eletto senza traumi Maurizio Gasparri, esponente di Alleanza nazionale, come suo presidente, e un forzista, Gaetano Quagliariello, come vice vicario. Lo stesso è avvenuto alla Camera, dove il gruppo unitario del Popolo della Libertà sarà guidato dall’azzurro Fabrizio Cicchitto, affiancato da un colonnello finiano, Italo Bocchino. E questo dopo che Renato Schifani e Gianfranco Fini, con metodo analogo, erano stati eletti alla guida delle due Camere. Insomma, il PdL, anche se con il manuale Cancelli sempre in mano, sta provando a ragionare da squadra. Anche se certi episodi fanno capire che la strada sarà lunga: ieri, nella riunione che doveva nominare capogruppo Gasparri, quando Sandro Bondi ha detto che era una tappa verso la creazione del «partito unico», Ugo Martinat, schietto senatore di An, ha replicato secco: «Lista elettorale, non di più». Non è l’unico a pensarla così.

Ma quello che è stato fatto in Parlamento è troppo poco rispetto a quello che non si riesce a fare col governo. Oggi saranno eletti i vicepresidenti di Senato e Camera e subito dopo l’attenzione sarà tutta per la composizione dell’esecutivo. Berlusconi dovrebbe ricevere l’incarico da Giorgio Napolitano domani sera e sarebbe un bel segnale se già il giorno dopo si presentasse al Quirinale con la lista dei ministri in mano. Se ci riuscirà e se nel giro di pochissimi giorni sarà in grado di far approvare dal primo consiglio dei ministri i provvedimenti per avviare lo smaltimento dei rifiuti napoletani e dare un giro di vite immediato contro la criminalità, le scene poco edificanti di questi giorni saranno subito dimenticate dagli elettori. Un governo efficiente sarà anche il migliore spot per il partito unico del centrodestra. Insomma, «si può fare», anche se è meglio dirlo in un altro modo, vista la fine che ha fatto l’ultimo che ha usato queste parole.

© Libero. Pubblicato il 6 maggio 2008.

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