Lettera aperta al ministro Bondi
di Fausto Carioti
Caro ministro Sandro Bondi, lei che in fondo è un socialista ottocentesco dal cuore tenero, provi a forzare la sua natura e faccia il dannunziano: se ne freghi. Degli Umberto Eco, dei Nanni Moretti, degli Eugenio Scalfari, di tutto quello che costoro rappresentano e si portano appresso. Non dia seguito a ciò che ha detto nella sua prima intervista da ministro della Cultura. Quella apparsa ieri sul Corriere della Sera, in cui lei ha pensato bene, come tanti altri vincitori delle elezioni, di porgere la mano a chi vi sta sputando addosso dal 1994. «Non posso non avere profonda stima di Umberto Eco, del suo lavoro di cinquant’anni. Voglio convincere lui e quelli che la pensano come lui che si stanno sbagliando sul nostro conto», dice lei. Lei che è così buono da far uscire sul Foglio, poche ore dopo la sua nomina, una recensione in cui loda l'ultimo libro del fondatore di Repubblica come «un intenso saggio autobiografico», «uno spaccato vero, autentico, di vita e armonia», figlio di una «scrittura sapientemente stratificata». Eppure è quello stesso Scalfari - ricorda? - che l’ha definita «un personaggio somigliante nelle fattezze del volto paffuto all’Omino di burro che conduce Pinocchio e Lucignolo nel Paese dei Balocchi», un «incendiario», uno «incaricato dal suo burattinaio di portare all’estremo limite della vis polemica le tesi più avventurose a beneficio delle curve nord e sud della tifoseria berlusconiana». Lei che giura di «amare» i film presuntuosi e barbosissimi di Moretti (spero che sia una bugia, ma lei non è tipo). Ecco, signor ministro, dia retta e ci ripensi: non cerchi il dialogo con costoro. Tiri indietro la mano, se la rimetta in tasca, prima che sputino pure su quella. Sia futurista, una volta nella vita: accenda il motore, schiacci l’acceleratore e li travolga tutti, con i loro corsi universitari che sfornano disoccupati, i loro cineclub ammuffiti e il loro astio.
Vede, caro Bondi, il motivo per cui i vari Eco, Scalfari, Moretti, Giorgio Bocca, Antonio Tabucchi e tanti altri vi disprezzeranno sempre non è politico o culturale, ma antropologico. Ritengono voi e i vostri elettori esseri umani di livello inferiore. Provo a spiegarglielo con le loro stesse parole. Ad esempio quelle che appaiono in un appello scritto da Eco e pubblicato alla vigilia del voto del 13 maggio 2001. L’uomo di cui lei vuole conquistare la stima divideva l’Italia di centrodestra in due. Innanzitutto l’Elettorato Motivato. Ne fanno parte, spiegava il democratico Eco, categorie come «il leghista delirante», «l’ex fascista» e quelli che, «avendo avuto contenziosi con la magistratura, vedono nel Polo un’alleanza che porrà freno all’indipendenza dei pubblici ministeri». Accanto a questi c’è l’Elettorato Affascinato, ovvero i poveri deficienti. Gente che «non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita, non dissimile da quella di coloro che chiameremo genericamente i Migranti Albanesi». Un elettorato che, ovviamente, «legge pochi quotidiani e pochissimi libri». Dunque un’accozzaglia di criminali, individui abietti e cerebrolesi, caro Bondi: ecco cosa è, secondo Eco, il vostro Popolo della libertà. Come può vedere, il livello delle argomentazioni è lo stesso che ci si può attendere da uno squatter dei centri sociali con la licenza di terza media. Eco si limita a imbellettarle un po’. Niente di strano che non abbia mai vinto un premio Nobel (e dire che lo hanno dato persino a Dario Fo e Rigoberta Menchù).
Puntuali, a ogni elezione, Eco e gli altri ci fanno sapere che se Berlusconi vince loro se ne andranno dall’Italia. Hanno iniziato nel ’94. «È come nel ’48, c’è una barriera di civiltà», s’infervorava il semiologo per convincere gli italiani a votare per Achille Occhetto. Scornato dal risultato delle elezioni, prese a dire che l’Italia non lo meritava: «Preferirei essere un cittadino di Sarajevo», si lamentava nelle interviste. Da allora è diventato un classico: «Se rivince Berlusconi vado in pensione e mi trasferisco all’estero», fa il suo ritornello. Agli inizi di aprile Eco, assieme a Gae Aulenti, Claudio Magris ed altri indignati di professione, ha lanciato il solito appello per mobilitare le masse: «Chi si astiene vota Berlusconi», era il succo del loro discorso. Peccato che le masse, incapaci di apprezzarne la novità, abbiano consegnato il governo a Berlusconi per la terza volta in quattordici anni (e complimenti al guru della semiologia per l’efficacia dei suoi messaggi). Anche se perdono un’elezione dietro l’altra, però, Eco e i suoi stanno sempre qui. A mantenere la promessa ed espatriare non ci pensano nemmeno, e anche questo dà un’idea della loro serietà. Una volta c’erano Stanlio e Ollio, in quel film nel quale passavano cinque minuti a salutarsi. «Arrivedorci!», «Arrivedorci!», facevano. Però nessuno se ne andava, restavano fermi lì, con il fazzoletto in mano e l’aria sempre più citrulla. Ma Eco e suoi amici nemmeno fanno più ridere. Sono noiosi e prevedibili come una barzelletta risaputa.
Insomma, signor ministro, basta con i complessi d’inferiorità. Non è difficile, basta fare quello che tantissimi italiani fanno ogni volta che Eco e i suoi consimili pubblicano un appello contro di voi: se ne sbattono, vi votano e vi apprezzano lo stesso, forse più di quanto voi stessi pensiate di meritare. Avete la legittimazione degli elettori, non vi serve quella di nessun altro. Ci sono tantissime cose da fare, molto più serie che perdere tempo dietro a certa gente. E se Eco e i suoi compagni d’indignazione dovessero davvero scappare via, per cercare conforto in qualche parte del mondo dove si sentono più apprezzati (ma è meglio non sperarci), stia tranquillo che gli elettori sapranno presto farsene una ragione. Voi, però, fatevi una ragione del fatto che la grande maggioranza del Paese sta con voi, non con loro, e che personaggi simili, per quello che rappresentano e per come vi trattano, dovreste non inseguirli e adularli, ma mangiarveli a colazione. Spiace dirlo, ma finché continuerete a inchinarvi davanti a simili reliquie non avrete alcuna speranza di cambiare l’Italia. Buon lavoro.
© Libero. Pubblicato il 10 maggio 2008.
Caro ministro Sandro Bondi, lei che in fondo è un socialista ottocentesco dal cuore tenero, provi a forzare la sua natura e faccia il dannunziano: se ne freghi. Degli Umberto Eco, dei Nanni Moretti, degli Eugenio Scalfari, di tutto quello che costoro rappresentano e si portano appresso. Non dia seguito a ciò che ha detto nella sua prima intervista da ministro della Cultura. Quella apparsa ieri sul Corriere della Sera, in cui lei ha pensato bene, come tanti altri vincitori delle elezioni, di porgere la mano a chi vi sta sputando addosso dal 1994. «Non posso non avere profonda stima di Umberto Eco, del suo lavoro di cinquant’anni. Voglio convincere lui e quelli che la pensano come lui che si stanno sbagliando sul nostro conto», dice lei. Lei che è così buono da far uscire sul Foglio, poche ore dopo la sua nomina, una recensione in cui loda l'ultimo libro del fondatore di Repubblica come «un intenso saggio autobiografico», «uno spaccato vero, autentico, di vita e armonia», figlio di una «scrittura sapientemente stratificata». Eppure è quello stesso Scalfari - ricorda? - che l’ha definita «un personaggio somigliante nelle fattezze del volto paffuto all’Omino di burro che conduce Pinocchio e Lucignolo nel Paese dei Balocchi», un «incendiario», uno «incaricato dal suo burattinaio di portare all’estremo limite della vis polemica le tesi più avventurose a beneficio delle curve nord e sud della tifoseria berlusconiana». Lei che giura di «amare» i film presuntuosi e barbosissimi di Moretti (spero che sia una bugia, ma lei non è tipo). Ecco, signor ministro, dia retta e ci ripensi: non cerchi il dialogo con costoro. Tiri indietro la mano, se la rimetta in tasca, prima che sputino pure su quella. Sia futurista, una volta nella vita: accenda il motore, schiacci l’acceleratore e li travolga tutti, con i loro corsi universitari che sfornano disoccupati, i loro cineclub ammuffiti e il loro astio.
Vede, caro Bondi, il motivo per cui i vari Eco, Scalfari, Moretti, Giorgio Bocca, Antonio Tabucchi e tanti altri vi disprezzeranno sempre non è politico o culturale, ma antropologico. Ritengono voi e i vostri elettori esseri umani di livello inferiore. Provo a spiegarglielo con le loro stesse parole. Ad esempio quelle che appaiono in un appello scritto da Eco e pubblicato alla vigilia del voto del 13 maggio 2001. L’uomo di cui lei vuole conquistare la stima divideva l’Italia di centrodestra in due. Innanzitutto l’Elettorato Motivato. Ne fanno parte, spiegava il democratico Eco, categorie come «il leghista delirante», «l’ex fascista» e quelli che, «avendo avuto contenziosi con la magistratura, vedono nel Polo un’alleanza che porrà freno all’indipendenza dei pubblici ministeri». Accanto a questi c’è l’Elettorato Affascinato, ovvero i poveri deficienti. Gente che «non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita, non dissimile da quella di coloro che chiameremo genericamente i Migranti Albanesi». Un elettorato che, ovviamente, «legge pochi quotidiani e pochissimi libri». Dunque un’accozzaglia di criminali, individui abietti e cerebrolesi, caro Bondi: ecco cosa è, secondo Eco, il vostro Popolo della libertà. Come può vedere, il livello delle argomentazioni è lo stesso che ci si può attendere da uno squatter dei centri sociali con la licenza di terza media. Eco si limita a imbellettarle un po’. Niente di strano che non abbia mai vinto un premio Nobel (e dire che lo hanno dato persino a Dario Fo e Rigoberta Menchù).
Puntuali, a ogni elezione, Eco e gli altri ci fanno sapere che se Berlusconi vince loro se ne andranno dall’Italia. Hanno iniziato nel ’94. «È come nel ’48, c’è una barriera di civiltà», s’infervorava il semiologo per convincere gli italiani a votare per Achille Occhetto. Scornato dal risultato delle elezioni, prese a dire che l’Italia non lo meritava: «Preferirei essere un cittadino di Sarajevo», si lamentava nelle interviste. Da allora è diventato un classico: «Se rivince Berlusconi vado in pensione e mi trasferisco all’estero», fa il suo ritornello. Agli inizi di aprile Eco, assieme a Gae Aulenti, Claudio Magris ed altri indignati di professione, ha lanciato il solito appello per mobilitare le masse: «Chi si astiene vota Berlusconi», era il succo del loro discorso. Peccato che le masse, incapaci di apprezzarne la novità, abbiano consegnato il governo a Berlusconi per la terza volta in quattordici anni (e complimenti al guru della semiologia per l’efficacia dei suoi messaggi). Anche se perdono un’elezione dietro l’altra, però, Eco e i suoi stanno sempre qui. A mantenere la promessa ed espatriare non ci pensano nemmeno, e anche questo dà un’idea della loro serietà. Una volta c’erano Stanlio e Ollio, in quel film nel quale passavano cinque minuti a salutarsi. «Arrivedorci!», «Arrivedorci!», facevano. Però nessuno se ne andava, restavano fermi lì, con il fazzoletto in mano e l’aria sempre più citrulla. Ma Eco e suoi amici nemmeno fanno più ridere. Sono noiosi e prevedibili come una barzelletta risaputa.
Insomma, signor ministro, basta con i complessi d’inferiorità. Non è difficile, basta fare quello che tantissimi italiani fanno ogni volta che Eco e i suoi consimili pubblicano un appello contro di voi: se ne sbattono, vi votano e vi apprezzano lo stesso, forse più di quanto voi stessi pensiate di meritare. Avete la legittimazione degli elettori, non vi serve quella di nessun altro. Ci sono tantissime cose da fare, molto più serie che perdere tempo dietro a certa gente. E se Eco e i suoi compagni d’indignazione dovessero davvero scappare via, per cercare conforto in qualche parte del mondo dove si sentono più apprezzati (ma è meglio non sperarci), stia tranquillo che gli elettori sapranno presto farsene una ragione. Voi, però, fatevi una ragione del fatto che la grande maggioranza del Paese sta con voi, non con loro, e che personaggi simili, per quello che rappresentano e per come vi trattano, dovreste non inseguirli e adularli, ma mangiarveli a colazione. Spiace dirlo, ma finché continuerete a inchinarvi davanti a simili reliquie non avrete alcuna speranza di cambiare l’Italia. Buon lavoro.
© Libero. Pubblicato il 10 maggio 2008.