Anche Napolitano ha detto no a Prodi
di Fausto Carioti
Ci mancava solo il Quirinale. Non bastasse la recalcitrante Emma Bonino, non bastasse Lamberto Dini, che raccontano sempre più indignato e intenzionato (questione di giorni, se non di ore) a prendere le distanze in modo plateale da un governo che ritiene egemonizzato dai comunisti, non bastassero il manifesto per le riforme del riottoso Francesco Rutelli e tutte le altre rogne, anche Giorgio Napolitano si è messo di traverso sulla strada del premier.
Prodi è impegnato a uscire fuori dalla riforma delle pensioni con le ossa il meno possibile rotte. Il presidente del Consiglio ha capito (non era difficile) che, per quanto si sforzi, non riuscirà a trovare una soluzione capace di accontentare sia i riformisti dell’Unione sia l’ala sinistra del suo schieramento. Il crollo dei consensi per tutti i partiti che lo sorreggono ha innescato infatti un gioco politico pericolosissimo per il premier: ogni sigla della maggioranza è costretta a recuperare consensi tra gli elettori delusi, e l’unico modo in cui può farlo è smarcarsi il più possibile da un governo detestato da tutti (ormai solo 35 italiani su 100 hanno fiducia nell’esecutivo, come certifica l’ultimo sondaggio Ipr per Repubblica). Così nel lato destro dell’Unione è iniziata la partita a chi è più riformista, cioè a chi taglia di più la spesa pubblica, mentre sulla sponda sinistra la gara - con l’appoggio dei sindacati confederali - è a chi apre di più i cordoni della borsa. Per tutti costoro, la riforma delle pensioni è la partita decisiva. Preso in mezzo, Prodi ha un solo modo per non finire triturato: evitare di sottoporre la nuova legge sulla previdenza al confronto aperto del parlamento. Il suo obiettivo, una volta che avrà scritto il testo definitivo, è farla approvare con una sola votazione in ognuna delle due Camere. Un voto blindato dalla fiducia, in modo che, specie al Senato, i parlamentari votino sotto il ricatto della crisi di governo (chi vota contro si accolla la responsabilità di aprire la strada al ritorno di Berlusconi), e avendo così la certezza di poter contare sulla presenza e l’aiuto dei senatori a vita, che nel momento del bisogno finora hanno sempre risposto. Ma è proprio qui che Napolitano ha stoppato le intenzioni di Prodi.
Il presidente del Consiglio sa benissimo che non può permettersi altre tirate d’orecchie da parte del Quirinale, che già sopporta con malcelato fastidio il fatto che i voti dei senatori a vita, invece di essere aggiuntivi a quelli della maggioranza, continuino a rivelarsi addirittura essenziali per la sopravvivenza dell’esecutivo. Così Prodi ha sondato l’umore di Napolitano, prospettandogli l’ipotesi di far approvare la riforma delle pensioni inserendola in corsa, in questi giorni, in un emendamento al disegno di legge che dovrà convertire il decreto sul “tesoretto” fiscale, con cui il governo intende dare un po’ di soldi alle pensioni basse e finanziare alcuni provvedimenti per i giovani. Sarebbe stato un vero e proprio blitz. Il disegno di legge che converte il decreto è già diventato una sorta di mini-finanziaria estiva nella quale l’esecutivo sta infilando di tutto, dal limite ai colonnelli che possono essere nominati ogni anno dall’aeronautica militare sino ai provvedimenti sulla deducibilità dei costi delle auto aziendali e alle nuove regole per gli studi di settore. Ma la cosa più importante è che il decreto, che porta la data del 2 luglio, scade il 31 agosto, e quindi deve essere convertito in legge prima della pausa estiva. Così era scontato da giorni che su di esso il governo avrebbe messo la fiducia. Infilando in questo disegno di legge la riforma delle pensioni, il governo sarebbe riuscito ad andare in vacanza avendo già costretto i parlamentari della maggioranza ad approvargli il provvedimento più controverso. Napolitano, però, ha fatto pervenire a Prodi la sua contrarietà: «Non è opportuno», gli ha fatto sapere, che un provvedimento importante come la riforma delle pensioni venga approvato addirittura tramite un emendamento e con un iter così poco rispettoso della volontà del parlamento.
Oltretutto, è stato prospettato dal Quirinale, è forte il rischio che qualche senatore della maggioranza in cerca di visibilità si sfili, contando sul fatto che il suo gesto sarebbe stato comunque non decisivo grazie al voto favorevole dei senatori a vita. E così avremmo una riforma delle pensioni (per non parlare dell’ennesima fiducia) approvata grazie al voto decisivo dei senatori non eletti. Per quanto Napolitano sia il primo a difendere le prerogative dei senatori a vita e il loro diritto di votare come gli altri, la cosa sarebbe stata comunque motivo di imbarazzo. Il premier, del resto, era stato avvisato già a dicembre, quando, dopo il voto sul maxiemendamento alla Finanziaria che aveva visto il ruolo determinante dei senatori a vita, il presidente della Repubblica gli aveva chiesto di evitare il ripetersi di simili “incidenti”, specie su provvedimenti importanti come la riforma delle pensioni.
Prodi non ha potuto fare altro che prendere atto della contrarietà del Colle, e ha rinunciato all’idea del blitz estivo. Ieri, come previsto, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, ha chiesto la fiducia alla Camera sul provvedimento che converte in legge la distribuzione del “tesoretto”, motivandola proprio con il fatto che il decreto deve essere approvato - pena la sua decadenza - prima della pausa estiva. La votazione a Montecitorio ci sarà oggi, poi il copione si replicherà al Senato. Nel disegno di legge, ovviamente, non c’è alcuna traccia della riforma delle pensioni, che peraltro il governo deve ancora scrivere. Anche ieri, intanto, da Lisbona, Napolitano ha fatto sapere che sta osservando da vicino le mosse del governo, riservandosi di commentare lunedì con i giornalisti, se per allora il negoziato si sarà chiuso, le decisioni di Prodi.
A palazzo Chigi resta il problema di come evitare le forche caudine di palazzo Madama una volta che le nuove regole della previdenza saranno scritte. Il piano “b” prevedeva di inserire in tempi rapidi la riforma in un decreto legge, la cui conversione sarebbe stata poi, con ogni probabilità, blindata dalla fiducia. Anche in questo caso, ai parlamentari del centro-sinistra non sarebbe rimasta altra scelta: o votare il provvedimento così com’è, oppure respingerlo, ma correndo il rischio di mandare a casa il governo. Ma il Quirinale ha respinto pure questa opzione: «Sulla materia delle pensioni non ricorrono i presupposti straordinari di necessità e di urgenza», necessari al governo per emanare ogni decreto, è stato spiegato a Prodi. Così il presidente del Consiglio ora sta studiando altre soluzioni. L’alternativa più probabile, a questo punto, è l’introduzione della riforma delle pensioni in un decreto collegato alla Finanziaria, da votarsi a fine anno, quando i requisiti di necessità e di urgenza saranno giustificati dall’obbligo di approvare le nuove norme prima del 2008. Ovviamente dopo avere blindato il provvedimento con la solita fiducia.
© Libero. Pubblicato il 19 luglio 2007.
Ci mancava solo il Quirinale. Non bastasse la recalcitrante Emma Bonino, non bastasse Lamberto Dini, che raccontano sempre più indignato e intenzionato (questione di giorni, se non di ore) a prendere le distanze in modo plateale da un governo che ritiene egemonizzato dai comunisti, non bastassero il manifesto per le riforme del riottoso Francesco Rutelli e tutte le altre rogne, anche Giorgio Napolitano si è messo di traverso sulla strada del premier.
Prodi è impegnato a uscire fuori dalla riforma delle pensioni con le ossa il meno possibile rotte. Il presidente del Consiglio ha capito (non era difficile) che, per quanto si sforzi, non riuscirà a trovare una soluzione capace di accontentare sia i riformisti dell’Unione sia l’ala sinistra del suo schieramento. Il crollo dei consensi per tutti i partiti che lo sorreggono ha innescato infatti un gioco politico pericolosissimo per il premier: ogni sigla della maggioranza è costretta a recuperare consensi tra gli elettori delusi, e l’unico modo in cui può farlo è smarcarsi il più possibile da un governo detestato da tutti (ormai solo 35 italiani su 100 hanno fiducia nell’esecutivo, come certifica l’ultimo sondaggio Ipr per Repubblica). Così nel lato destro dell’Unione è iniziata la partita a chi è più riformista, cioè a chi taglia di più la spesa pubblica, mentre sulla sponda sinistra la gara - con l’appoggio dei sindacati confederali - è a chi apre di più i cordoni della borsa. Per tutti costoro, la riforma delle pensioni è la partita decisiva. Preso in mezzo, Prodi ha un solo modo per non finire triturato: evitare di sottoporre la nuova legge sulla previdenza al confronto aperto del parlamento. Il suo obiettivo, una volta che avrà scritto il testo definitivo, è farla approvare con una sola votazione in ognuna delle due Camere. Un voto blindato dalla fiducia, in modo che, specie al Senato, i parlamentari votino sotto il ricatto della crisi di governo (chi vota contro si accolla la responsabilità di aprire la strada al ritorno di Berlusconi), e avendo così la certezza di poter contare sulla presenza e l’aiuto dei senatori a vita, che nel momento del bisogno finora hanno sempre risposto. Ma è proprio qui che Napolitano ha stoppato le intenzioni di Prodi.
Il presidente del Consiglio sa benissimo che non può permettersi altre tirate d’orecchie da parte del Quirinale, che già sopporta con malcelato fastidio il fatto che i voti dei senatori a vita, invece di essere aggiuntivi a quelli della maggioranza, continuino a rivelarsi addirittura essenziali per la sopravvivenza dell’esecutivo. Così Prodi ha sondato l’umore di Napolitano, prospettandogli l’ipotesi di far approvare la riforma delle pensioni inserendola in corsa, in questi giorni, in un emendamento al disegno di legge che dovrà convertire il decreto sul “tesoretto” fiscale, con cui il governo intende dare un po’ di soldi alle pensioni basse e finanziare alcuni provvedimenti per i giovani. Sarebbe stato un vero e proprio blitz. Il disegno di legge che converte il decreto è già diventato una sorta di mini-finanziaria estiva nella quale l’esecutivo sta infilando di tutto, dal limite ai colonnelli che possono essere nominati ogni anno dall’aeronautica militare sino ai provvedimenti sulla deducibilità dei costi delle auto aziendali e alle nuove regole per gli studi di settore. Ma la cosa più importante è che il decreto, che porta la data del 2 luglio, scade il 31 agosto, e quindi deve essere convertito in legge prima della pausa estiva. Così era scontato da giorni che su di esso il governo avrebbe messo la fiducia. Infilando in questo disegno di legge la riforma delle pensioni, il governo sarebbe riuscito ad andare in vacanza avendo già costretto i parlamentari della maggioranza ad approvargli il provvedimento più controverso. Napolitano, però, ha fatto pervenire a Prodi la sua contrarietà: «Non è opportuno», gli ha fatto sapere, che un provvedimento importante come la riforma delle pensioni venga approvato addirittura tramite un emendamento e con un iter così poco rispettoso della volontà del parlamento.
Oltretutto, è stato prospettato dal Quirinale, è forte il rischio che qualche senatore della maggioranza in cerca di visibilità si sfili, contando sul fatto che il suo gesto sarebbe stato comunque non decisivo grazie al voto favorevole dei senatori a vita. E così avremmo una riforma delle pensioni (per non parlare dell’ennesima fiducia) approvata grazie al voto decisivo dei senatori non eletti. Per quanto Napolitano sia il primo a difendere le prerogative dei senatori a vita e il loro diritto di votare come gli altri, la cosa sarebbe stata comunque motivo di imbarazzo. Il premier, del resto, era stato avvisato già a dicembre, quando, dopo il voto sul maxiemendamento alla Finanziaria che aveva visto il ruolo determinante dei senatori a vita, il presidente della Repubblica gli aveva chiesto di evitare il ripetersi di simili “incidenti”, specie su provvedimenti importanti come la riforma delle pensioni.
Prodi non ha potuto fare altro che prendere atto della contrarietà del Colle, e ha rinunciato all’idea del blitz estivo. Ieri, come previsto, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, ha chiesto la fiducia alla Camera sul provvedimento che converte in legge la distribuzione del “tesoretto”, motivandola proprio con il fatto che il decreto deve essere approvato - pena la sua decadenza - prima della pausa estiva. La votazione a Montecitorio ci sarà oggi, poi il copione si replicherà al Senato. Nel disegno di legge, ovviamente, non c’è alcuna traccia della riforma delle pensioni, che peraltro il governo deve ancora scrivere. Anche ieri, intanto, da Lisbona, Napolitano ha fatto sapere che sta osservando da vicino le mosse del governo, riservandosi di commentare lunedì con i giornalisti, se per allora il negoziato si sarà chiuso, le decisioni di Prodi.
A palazzo Chigi resta il problema di come evitare le forche caudine di palazzo Madama una volta che le nuove regole della previdenza saranno scritte. Il piano “b” prevedeva di inserire in tempi rapidi la riforma in un decreto legge, la cui conversione sarebbe stata poi, con ogni probabilità, blindata dalla fiducia. Anche in questo caso, ai parlamentari del centro-sinistra non sarebbe rimasta altra scelta: o votare il provvedimento così com’è, oppure respingerlo, ma correndo il rischio di mandare a casa il governo. Ma il Quirinale ha respinto pure questa opzione: «Sulla materia delle pensioni non ricorrono i presupposti straordinari di necessità e di urgenza», necessari al governo per emanare ogni decreto, è stato spiegato a Prodi. Così il presidente del Consiglio ora sta studiando altre soluzioni. L’alternativa più probabile, a questo punto, è l’introduzione della riforma delle pensioni in un decreto collegato alla Finanziaria, da votarsi a fine anno, quando i requisiti di necessità e di urgenza saranno giustificati dall’obbligo di approvare le nuove norme prima del 2008. Ovviamente dopo avere blindato il provvedimento con la solita fiducia.
© Libero. Pubblicato il 19 luglio 2007.