Il Lodo Alfano e le due sinistre

di Fausto Carioti

Ha vinto il partito di Repubblica. Esultano Antonio Di Pietro e il clan giustizialista di Micromega. Sotto palazzo Chigi, ieri sera, è rispuntato persino qualche timido gruppo di girotondini, increduli per il regalo ricevuto dai giudici costituzionali. Hanno perso (soprattutto) Giorgio Napolitano e il Pd. Insomma, avrà pure le sue ragioni Silvio Berlusconi a dire, come ha fatto ieri sera, che «la Consulta è di sinistra» e che «il Capo dello Stato tutti sanno da che parte sta». Ma la verità è che di «sinistre», stavolta, ce ne sono state due.

Una è la sinistra dell’odio antropologico, erede del vecchio partito d’azione, che ha sempre visto Berlusconi come un barbaro invasore, tanto più meritevole di essere abbattuto quanto più forte è il suo consenso elettorale. Una sinistra che è ben rappresentata anche nella Corte Costituzionale e che si specchia nel commento scritto su Repubblica di ieri dal giurista democratico torinese Franco Cordero, nel quale Berlusconi è paragonato al Führer e l’immunità garantita dal lodo Alfano è usata per evocare «la scalata hitleriana 1933-34». L’altra è la sinistra della paura. La paura di Napolitano di creare un clima ancora più mefitico e in particolare di danneggiare il Pd, il quale a sua volta ha il terrore di dovere affrontare nuove elezioni in tempi brevi. Neanche troppo di nascosto, questa sinistra sperava che il lodo Alfano uscisse più o meno intatto dall’esame della Consulta.

È questo il motivo per cui ieri, appresa la sentenza, nessuno dei dirigenti del Pd si è sognato di chiedere a Berlusconi di fare un passo indietro, e tantomeno di invocare il ritorno alle urne. Tutt’altro: «Mi aspetto che Berlusconi continui a fare il suo mestiere aspettando il procedimento e che si concentri un po’ di più sui problemi del Paese», ha commentato a caldo Pier Luigi Bersani, che più chiaro di così non poteva essere.

Perché Berlusconi, contro chi vuole usare la bocciatura del Lodo Alfano per sbatterlo fuori dalla politica (e possibilmente in carcere) innanzitutto può giocare la carta del «resistere, resistere, resistere» (a palazzo Chigi). Poi, se le cose dovessero mettersi davvero male, potrà sempre forzare la mano al Quirinale e puntare dritto verso il voto. È in casi come questo, quando si trova spalle al muro, che il Cavaliere dà il meglio di sé. Come scrisse attonito, dopo le elezioni del 2006, l’ex direttore dell’Unità Giuseppe Caldarola, «il Caimano non si è mai arreso. Più lo butti giù più si tira su. Sembra l’ultimo giapponese, poi scopri che nella giungla ha addestrato guerriglieri senza paura. C’è un esercito di fedeli, la più affollata setta del mondo, disposti a seguirlo».

Certo, il giudizio del popolo è una strada pericolosa per Berlusconi. Per avere le elezioni anticipate dovrà svenarsi per venire incontro alle richieste degli alleati, convincere i parlamentari a lasciare l’incarico senza aver ottenuto il diritto al vitalizio (quello si guadagna dopo due anni e mezzo di legislatura) e chiedere il voto agli italiani nel momento più difficile della sua vita. Ma le elezioni anticipate sono una minaccia soprattutto per il Partito democratico: le urne rischiano di segnare la resa all’avanzata dell’Idv e dell’Udc e il ritorno sulla scena dei partitini dell’estrema sinistra. Napolitano lo sapeva bene, e non è solo per amore dell’armonia istituzionale che si era permesso di far presente ai giudici costituzionali i rischi connessi alla bocciatura del Lodo. Non è stato ascoltato.

Il round di ieri è andato invece ai cento giuristi capitanati dagli ex presidenti della Consulta Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky, che nel luglio del 2007 lanciarono l’appello contro il Lodo Alfano apparso su Repubblica. Lì si lessero per la prima volta quelle argomentazioni che, nonostante siano state contestate da molti altri giuristi, ieri sono fatte proprie dalla Corte Costituzionale.

Così ora Berlusconi ha gioco facile nel dichiararsi vittima di una congiura ordita da chi cerca da anni di eliminarlo con tutti i mezzi. Gettati i panni dello statista prudente, può tornare a indossare l’abito preferito: quello del politico che parla al cuore e alla pancia degli elettori. Ha già iniziato a farlo, dicendo ciò che pensa della Consulta e del Quirinale. Sa di avere perso, ma sa anche che da ieri c’è chi rischia più di lui. Soprattutto sa che la guerra è lunga e che adesso può ricominciare a fare il gioco che gli riesce meglio.

© Libero. Pubblicato l'8 ottobre 2009.

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