Addio a Obama l'idealista

di Fausto Carioti

La leggenda metropolitana più in voga negli ultimi tempi è stata quella di Barack Obama presidente dai grandi ideali. Da contrapporre al suo predecessore, il bovaro texano George W. Bush, che faceva le guerre per arricchire la Hulliburton, la Exxon e le altre grandi compagnie americane. Ecco, dopo nemmeno nove mesi dal suo insediamento, Obama il grande idealista non c’è più. Svanito. I pochi che ancora non ne hanno preso atto sono pregati di fare i conti con la realtà, sporca e cattiva come sempre: ieri la Casa Bianca ha fatto sapere che il Dalai Lama, appena arrivato a Washington, non sarà ricevuto dal presidente. Né in forma privata, tantomeno in veste ufficiale. Obama gli ha sbattuto la porta in faccia. Il 74enne leader religioso del Tibet, premio Nobel per la pace, sarà carino e simpatico quanto vuoi, ma è inavvicinabile perché su di lui pesa il veto del regime di Pechino. E poi non ha nemmeno il dono dell’opportunità: il presidente statunitense tra un mese sarà in visita in Cina, e non è il caso di guastare sin d’ora il grande evento. La causa tibetana può attendere.

Chi accredita il Dalai Lama come interlocutore politico, infatti, entra automaticamente nella lista nera di Hu Jintao, presidente della Repubblica popolare cinese. Jintao è il leader di un Paese in cui i diritti umani semplicemente non esistono, tanto che chiunque può essere incarcerato senza processo. Sotto il controllo militare del regime di Pechino gli abitanti della regione autonoma del Tibet - quelli che non stati rinchiusi in carcere - sono chiamati a seguire corsi di «educazione patriottica», dove ai partecipanti è chiesto di firmare denunce scritte contro il Dalai Lama. Ma soprattutto Jintao è il leader della nuova grande potenza economica e politica mondiale. Gli investitori cinesi controllano titoli del Tesoro americano per oltre 800 miliardi di dollari, pari a un quarto del debito pubblico statunitense collocato all’estero. Questo basta a far passare in secondo piano tutto il resto. Un portavoce di Jintao, il mese scorso, aveva lanciato l’avvertimento: il governo di Pechino «si oppone» a un incontro tra Obama e il Dalai Lama. Ricevuto il messaggio, il presidente americano si è adeguato.

È un modo di fare che qui in Italia conosciamo bene. Silvio Berlusconi, nei periodi in cui è stato presidente del Consiglio, ha ricevuto il Dalai Lama solo nel 1994, e l’incontro è avvenuto sotto forma di semplice visita privata. Nel 2003 e nel 2009 la guida spirituale del Tibet buddista è tornata in Italia, ma non è riuscita a incontrare il Cavaliere. Un diniego bipartisan: disgustando i suoi alleati del partito radicale, Romano Prodi nel dicembre del 2007 spiegò con la ragion di Stato il suo rifiuto a ricevere l’ingombrante ospite: «Bisogna usare prudenza. Ho la responsabilità di un Paese e devo rendermi conto delle conseguenze finali delle mie azioni».

Ora, che a fare simili ragionamenti siano i politici di casa nostra, peraltro imitati dalla gran parte dei loro colleghi internazionali, non stupisce nessuno. Ma diventa una signora notizia quando a certe vecchie ipocrisie ricorre il leader della superpotenza americana, nonché alfiere del «mondo nuovo» in cui gli ideali di Libertà e Giustizia avrebbero dovuto rimpiazzare i compromessi al ribasso sulla pelle degli oppressi. Concita De Gregorio, direttrice dell’Unità, ha presentato Obama ai suoi lettori come il presidente che «con tranquilla disinvoltura scardina il vecchio mondo». Vittorio Zucconi, su Repubblica, ha fatto credere a qualcuno che Obama avrebbe offerto alla comunità internazionale un «nuovo inizio». Come no.

Meglio di tutti, come sempre in questi casi, è riuscito a fare Furio Colombo, in un articolo per l’Unità: «Obama ha rovesciato la frase “purtroppo la politica ci costringe a…” in “per fortuna la politica ci chiede di…”. Il patto con l’America è anche un patto con il mondo. E questo è il senso magico dell’attesa», scriveva Colombo commuovendo i suoi lettori. I quali, però, adesso dovrebbero essere svegliati dall’estasi mistica e informati, con il dovuto tatto, che Colombo non ci aveva capito nulla, e che Obama ha appena detto che “purtroppo la politica” lo costringe a non incontrare il Dalai Lama. Il «Mondo nuovo» esisteva solo nelle favole con cui i compagni italiani cercavano di evadere dalla onnipresenza berlusconiana.

«Cosa deve pensare un monaco o una suora buddista rinchiuso in prigione nell’apprendere che Obama non riceve il leader spirituale tibetano?» si è chiesto a Washington il deputato repubblicano Frank Wolf. Domanda retorica, la risposta già si sa: deve pensare che a Obama non importa nulla. A proposito: l’unico presidente statunitense che ha ricevuto il Dalai Lama, sfidando le ire del regime cinese (e fregandosene), è stato George W. Bush. Quello stupido e senza ideali.

© Libero. Pubblicato il 6 ottobre 2009.

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