Berlusconi e il rischio del voto anticipato

di Fausto Carioti

Il voto anticipato è lo spauracchio che in queste ore uomini vicini a Silvio Berlusconi stanno agitando per far capire ad alleati, avversari, giudici della Consulta, Quirinale e ciò che resta dei cosiddetti “poteri forti” di essere pronti a combattere con il coltello tra i denti pur di non farsi sfilare il governo del Paese. Se la Corte Costituzionale, invece di invitare esecutivo e Parlamento a “correggere” il Lodo Alfano, dovesse davvero impallinarlo,come profetizza Francesco Cossiga, il processo al presidente del Consiglio sul caso Mills ricomincerebbe subito. In questo caso, nessun bookmaker accetterebbe puntate sulla condanna di Berlusconi: il destino giudiziario del premier sarebbe segnato. Quello politico, no. Il leader del PdL avrebbe tutto l’interesse a trascinare il suo partito alle elezioni, in cerca di quella legittimazione popolare che gli restituirebbe la verginità politica violata dalle toghe «eversive». Ma si tratta di una strada rischiosissima, che potrebbe anche condurre alla scomparsa definitiva del berlusconismo. Quando si lascia il passo ai tecnici per portare il Paese al voto, si innescano meccanismi che tendono a prolungare la legislatura ben oltre il prevedibile. E in Italia (pure a pochi metri da Berlusconi) c’è chi non aspetta altro.

Il premier è convinto di avere ancora dalla sua la maggioranza del Paese. I sondaggi lo confortano. Gli ultimi dati di Crespi Ricerche assegnano al blocco PdL-Lega il 49% delle intenzioni di voto, che diventano il 50% se si aggiunge l’Mpa di Raffaele Lombardo. Sul fronte opposto, Partito democratico, Italia dei Valori e Lista Pannella non superano il 35%. Anche aggiungendo il 6,3% accreditato all’Udc, il divario resta abissale. Altri istituti danno numeri diversi, ma non di molto. Per questo, in caso di bocciatura del Lodo Alfano, una delle ipotesi sul tavolo di Berlusconi prevede di dichiarare chiusa l’esperienza del governo e di chiedere a Giorgio Napolitano di sciogliere le Camere e indire le elezioni. L’opposizione, che avrebbe a portata di mano l’occasione di sbarazzarsi dell’odiato nemico, salirebbe sulle barricate per ottenere dal Quirinale che a condurre il Paese al voto non sia il governo Berlusconi, ma un altro esecutivo. Richiesta che Napolitano difficilmente rifiuterebbe. Si avrebbe così un governo tecnico, non politico, nel cui programma figurerebbero quelle riforme economiche necessarie per consentire al Paese di reggere i colpi di coda della recessione. Solo dopo, semmai, si provvederebbe a tornare al voto.

Ma la storia, anche recente (governo Dini, anno 1995), insegna che per certi esecutivi vale la massima di Giuseppe Prezzolini, per cui in Italia «nulla è stabile fuorché il provvisorio». Una volta insediato un simile governo, la tentazione di usarlo per far scomparire Berlusconi dalla scena politica sarebbe troppo forte. Ai difensori della Costituzione materiale, convinti che le istituzioni italiane siano ormai modellate sul bipolarismo, si opporrebbero i costituzionalisti democratici, difensori della Costituzione formale, convinti che vada bene qualunque governo abbia ottenuto una qualunque maggioranza parlamentare. Lunga vita al governicchio, allora.

Il pressing su Napolitano è già iniziato. Corriere della Sera, Stampa e Sole-24 Ore si sono schierati contro il ritorno alle urne, bollando come irresponsabile la voglia berlusconiana di voto anticipato. Un atteggiamento che - non a caso - riflette quello di Confindustria, Abi e Banca d’Italia. Oggi questi ambienti difendono il diritto-dovere di Berlusconi di governare sino alla fine della legislatura. Ma è quest’ultima che intendono proteggere, non certo l’esecutivo. Se Berlusconi dovesse lasciare palazzo Chigi, un’ora dopo invocherebbero un governo che sappia raffreddare gli animi, tranquillizzare i mercati in una frase così delicata e chi più ne ha più ne metta.

Berlusconi potrebbe uscirne integro facendo leva sulla sua ampia maggioranza parlamentare, e cioè chiedendo agli uomini che ha fatto eleggere di non prestarsi a simili operazioni. Ma la verità è che certezze sulla loro collaborazione non ne ha nemmeno lui. L’unica sicurezza, anzi, è che gli attuali senatori e deputati non hanno alcuna voglia di chiudere la loro esperienza parlamentare in anticipo. Non prima, almeno, di essere stati in carica per metà della legislatura, cioè due anni e mezzo, quanto basta per maturare il diritto al vitalizio una volta compiuto il sessantacinquesimo anno di età. Molti di loro sanno bene che non sarebbero rieletti, e sono pronti a fare di tutto per prolungare l’incarico quanto più possibile. La loro voglia di restare aggrappati allo scranno si sommerebbe alla esigenza del Pd di non andare subito al voto, perché le elezioni in tempi rapidi servirebbero solo a rafforzare l’Italia dei Valori e l’Udc e a resuscitare i partiti della sinistra estrema, a spese del Partito democratico. Una situazione che Napolitano ha ben presente. Meglio, per Massimo D’Alema e compagni, prendere tempo, lasciando che a occuparsi di Berlusconi siano i magistrati. Nel PdL, infine, questa attesa sarebbe benedetta da tanti come l’occasione giusta per uscire allo scoperto e giocarsi la partita della successione a Berlusconi.

Il quale, stando così le cose, ha davvero una lunga serie di ottimi motivi per sperare che la Consulta non bocci il Lodo Alfano. In caso di verdetto negativo, infatti, più che alla fine anticipata della legislatura si rischia di assistere alla fine anticipata dell’avventura politica del Cavaliere.

© Libero. Pubblicato il 7 ottobre 2009.

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