Il caso Marrazzo e la teoria del complotto

di Fausto Carioti

«È una guerra lercia», scrive Concita De Gregorio, allarmata per le sorti della Democrazia. Sarà anche vero, però è strano: sino a pochi giorni fa, quando nel mirino dei Kalashnikov caricati a letame c’era Silvio Berlusconi, ci avevano fatto credere che lo sputtanamento quotidiano fosse la quintessenza della libertà di stampa, roba da premiare con il Pulitzer. E quelli che non partecipavano al tiro al bersaglio erano «i giornali scendiletto del premier», sentenziava la direttrice dell’Unità. Adesso che lo sputtanato è Piero Marrazzo, ormai ex governatore diessino del Lazio, siamo invece alla barbarie. E comunque, lerciume per lerciume, chissà chi è stato a metterlo in pagina per primo, volendo convincerci che il premier facesse chissà cosa con la minorenne Noemi Letizia. E in quel caso non c’era uno straccio di prova, né una testimonianza, né un’immagine compromettente, tantomeno un’indagine della magistratura. Solo una festa di compleanno e qualche guaglione con scritto “Song ’e Napule” sulla maglietta, ma tanto bastava per il linciaggio.

Insomma, la sinistra indignata, la sinistra della superiorità morale e dei corpi che non si mettono a disposizione del potente di turno (a proposito: vale anche per i trans o solo per le donne? il laido fallocrate deve essere a tutti i costi un premier o va bene anche un governatore del Lazio?) è ridotta male. Annaspa e si aggrappa alla ciambella più logora, quella che suole ridicolizzare quando a tirarla fuori sono gli avvocati del Cavaliere: la teoria del complotto. Dice che Marrazzo è vittima di un’aggressione a orologeria, lascia intendere che il mandante occulto di queste trame losche si sa benissimo chi è (indovinate) e assicura che comunque tra la situazione di Berlusconi e quella di Marrazzo proprio non c’è paragone. Sarebbe tutto molto prevedibile, se non fosse che in bocca ai forcaioli in servizio permanente effettivo ha un effetto esilarante.

Ad esempio Antonio Padellaro mascherato da Niccolò Ghedini non è roba che capiti tutti i giorni, e vale la pena di gustarselo sino in fondo. Il direttore del Fatto, il giornale su cui scrive Marco Travaglio e che l’altro giorno, come auspicio per Berlusconi, ha messo un bel paio di manette in prima pagina, si è dovuto cimentare in uno sport estremo, quello dell’arrampicata garantista sugli specchi. Ma si vede che non è roba sua. Che se la stessa cosa fosse successa a uno di quei porci di destra, allora sì che si sarebbe divertito. E invece, destino infame, a Padellaro stavolta tocca scrivere che in giro c’è «un complotto per mettere fuori gioco un esponente del Pd, intenzionato a ricandidarsi al vertice della regione e proprio alla vigilia delle primarie del suo partito». Per consolare i lettori depressi Padellaro assicura che i comportamenti di Berlusconi, a differenza di quelli di Marrazzo, «rivestono, di per sé, una particolare gravità»: non si capisce il motivo, ma fa niente. Bolla tutte le rivelazioni giunte dopo il filone delle escort come «una vera e propria ritorsione preventiva o vendetta successiva», perché in fondo chi se ne frega dei fatti, quello che conta è fare il processo alle intenzioni. E comunque, anche se Marrazzo non fosse la vittima innocente che dice, e dovesse dimettersi, «resterebbe sacrosanta la tutela della vita privata di un uomo e dei suoi cari». Un lusso che a “papi” Berlusconi e alla sua famiglia non è concesso.

La manina del Cavaliere spunta nell’articolo di Peter Gomez, sullo stesso quotidiano. Il filone è un sempreverde della dietrologia di sinistra: niente è mai come sembra, c’è sempre un livello superiore su cui indagare. Pensavate che i protagonisti di questa storiaccia fossero un governatore molto arrapato e un po’ pirla, un trans, un pusher e quattro carabinieri ansiosi di soldi? Troppo facile. Affamati di teorie cospiratorie, ecco pane per i vostri denti: «Il ricatto a Marrazzo assume dei contorni diversi dalla semplice storia di quattro carabinieri “mele marce” che tentano di estorcere denaro al governatore di centrosinistra dopo averlo sorpreso insieme a un viado. Se lo scopo dei militari infedeli, subito arrestati dai loro colleghi, era solo quello di far soldi, perché il filmato è stato immediatamente proposto a consulenti di politici e pure a dei giornali?». Chi ha letto le carte, la risposta la sa già: sempre per fare soldi, visto che il filmettino era in vendita e non veniva certo regalato. Ma il nostro finge di non saperlo. Deve insinuare l’esistenza dell’immancabile secondo livello, quello politico. Che si sarebbe mosso su indicazione di Berlusconi. Il quale, dopo essere stato attaccato da Repubblica, aveva detto infatti - ecco qui la prova schiacciante sfoderata da Gomez - che c’era il rischio di un «imbarbarimento» della vita politica. Puntualmente avvenuto. Facile, no?

Stessa sindrome che colpisce il Manifesto: i quattro carabinieri “mele marce”? Troppo comodo, sibila Norma Rangeri: «Difficile crederlo quando nella trappola non è una persona qualunque ma un politico di prima fila. Non erano i soldi l’obiettivo principale, ma il killeraggio di un uomo politico». Quali elementi abbia per scrivere che i quattro carabinieri arrestati lavoravano per conto di qualche potere nascosto non si sa, ma pazienza. A questo punto tutto torna: Marrazzo è la povera vittima ingenua; il colpevole , tanto per cambiare, sta ad Arcore, o comunque è a Berlusconi che in qualche modo risponde. Manca solo il terzo livello, quello con Licio Gelli e i servizi segreti deviati, ma si capisce che è questione di ore. Nell’attesa, ci si può consolare con i servizietti deviati.

Nemmeno Giuseppe Davanzo, su Repubblica, si spinge a tanto. Chi spara da mesi su Berlusconi mica si può sputtanare a sua volta per un Marrazzo qualsiasi. Così l’autore delle dieci domande al premier si limita a dire che «da almeno un mese c’era chi, prossimo al governo, sapeva del guaio in cui s’era cacciato Marrazzo». Anche se, avverte tirando il freno a mano, «questo non vuol dire che ci sia stato qualcuno nell’esecutivo a pilotare lo scandalo contro il governatore». Insomma, forse Berlusconi c’entra qualcosa, ma forse no. Di sicuro c’è solo che «l’affare appare più fangoso di quanto dica la ricostruzione ufficiale». I lettori di Repubblica, per stavolta, devono accontentarsi.

Nessuno, però, sembra interessato alle più ovvie delle domande. A Berlusconi, che non risulta aver pagato chicchessia né aver sedotto minorenni, viene chiesto ogni giorno, da mesi, se sia ricattabile per la sua vita privata. Marrazzo guida una regione con un budget di 23 miliardi di euro. Sino a due giorni fa è stato sotto ricatto per un filmino che lo ritraeva seminudo nella casa di un viado, vicino a una sospetta polvere bianca. Da lui, allora, sarebbe interessante sapere altre cose. Prime tra tutte: questo ricatto ha influito solo sulla sua vita privata o anche sulla sua attività di amministratore pubblico? A quali compromessi è stato costretto? Perché non ha mai denunciato i suoi ricattatori? Ma sono domande da «guerra lercia», e infatti il giornalismo democratico e bene educato non ha alcuna intenzione di porle.

© Libero. Pubblicato il 25 ottobre 2009.

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