Il golpe del calzino turchese
di Fausto Carioti
Del servizio trasmesso ieri da Canale 5 si può dire tutt'al più che fosse una noia mortale. Quei due minuti passati a mostrare un tipo dall'aria dimessa che cammina avanti e indietro sul marciapiede in attesa di entrare dal barbiere, si fa lo shampoo e poi si siede su una panchina, sfoggiando - come notava l'autrice del servizio - «pantalone blu, mocassino bianco e calzino turchese», avranno indotto molti telespettatori a cambiare canale o a prendere un caffè per riemergere dal torpore. Il fatto che il signore in questione, ignaro di essere filmato, fosse Raimondo Mesiano, il giudice che ha condannato la Fininvest a risarcire con 750 milioni la Cir di Carlo De Benedetti, non bastava a trattenere la mandibola: lo sbadiglio nasceva spontaneo.
Della stessa trasmissione, invece, non si può dire tutto quello che è stato detto. E cioè che sia il sintomo di una «deriva istituzionale» (parole di Luca Palamara, segretario del sindacato unico dei magistrati). Un «servizio di spionaggio e pedinamento televisivo» (Fabrizio Morri, senatore del Pd). Una «brutale dimostrazione di squadrismo» (un esponente della segreteria dei Comunisti italiani: sì, esistono ancora). Un «pestaggio mediatico» (Roberto Natale, presidente del sindacato unico dei giornalisti, quello che dovrebbe difendere la libertà di stampa).
Perché quelli che giudicano un attentato alla democrazia il servizio mandato in onda da Mattino Cinque sono gli stessi che difendono il diritto di fotografare e pubblicare immagini riprese all'interno di villa Certosa. Lo fanno in nome della libertà d'informazione: Berlusconi è un personaggio pubblico e tutto quello che fa deve essere di pubblico dominio. Per lui quel diritto alla privacy invocato per Mesiano non vale. Anzi, sputtanarlo vuol dire essere bravi giornalisti. Così ci hanno inflitto le nudità di Mirek Topolanek, ex primo ministro ceco, immortalato nell'atto di cambiarsi costume ai bordi della piscina. Immagini noiose quanto quelle mostrate ieri da Mediaset. Con la differenza che gli scatti fatti in Sardegna ritraevano scene avvenute in ambienti privati, non sulla pubblica strada.
Piaccia o meno, con la sua sentenza Mesiano è diventato un personaggio da prima pagina, e come tale soggetto all'attenzione della stampa, che non è tutta tenuta ad adorarlo: se ne faccia una ragione. Ma il vero problema è quello della sinistra: un tempo per farla gridare al golpe ci volevano Junio Valerio Borghese e Licio Gelli. Adesso si accontenta di un calzino turchese.
© Libero. Pubblicato il 17 ottobre 2009.
Del servizio trasmesso ieri da Canale 5 si può dire tutt'al più che fosse una noia mortale. Quei due minuti passati a mostrare un tipo dall'aria dimessa che cammina avanti e indietro sul marciapiede in attesa di entrare dal barbiere, si fa lo shampoo e poi si siede su una panchina, sfoggiando - come notava l'autrice del servizio - «pantalone blu, mocassino bianco e calzino turchese», avranno indotto molti telespettatori a cambiare canale o a prendere un caffè per riemergere dal torpore. Il fatto che il signore in questione, ignaro di essere filmato, fosse Raimondo Mesiano, il giudice che ha condannato la Fininvest a risarcire con 750 milioni la Cir di Carlo De Benedetti, non bastava a trattenere la mandibola: lo sbadiglio nasceva spontaneo.
Della stessa trasmissione, invece, non si può dire tutto quello che è stato detto. E cioè che sia il sintomo di una «deriva istituzionale» (parole di Luca Palamara, segretario del sindacato unico dei magistrati). Un «servizio di spionaggio e pedinamento televisivo» (Fabrizio Morri, senatore del Pd). Una «brutale dimostrazione di squadrismo» (un esponente della segreteria dei Comunisti italiani: sì, esistono ancora). Un «pestaggio mediatico» (Roberto Natale, presidente del sindacato unico dei giornalisti, quello che dovrebbe difendere la libertà di stampa).
Perché quelli che giudicano un attentato alla democrazia il servizio mandato in onda da Mattino Cinque sono gli stessi che difendono il diritto di fotografare e pubblicare immagini riprese all'interno di villa Certosa. Lo fanno in nome della libertà d'informazione: Berlusconi è un personaggio pubblico e tutto quello che fa deve essere di pubblico dominio. Per lui quel diritto alla privacy invocato per Mesiano non vale. Anzi, sputtanarlo vuol dire essere bravi giornalisti. Così ci hanno inflitto le nudità di Mirek Topolanek, ex primo ministro ceco, immortalato nell'atto di cambiarsi costume ai bordi della piscina. Immagini noiose quanto quelle mostrate ieri da Mediaset. Con la differenza che gli scatti fatti in Sardegna ritraevano scene avvenute in ambienti privati, non sulla pubblica strada.
Piaccia o meno, con la sua sentenza Mesiano è diventato un personaggio da prima pagina, e come tale soggetto all'attenzione della stampa, che non è tutta tenuta ad adorarlo: se ne faccia una ragione. Ma il vero problema è quello della sinistra: un tempo per farla gridare al golpe ci volevano Junio Valerio Borghese e Licio Gelli. Adesso si accontenta di un calzino turchese.
© Libero. Pubblicato il 17 ottobre 2009.