L'unione innaturale tra i finiani e Berlusconi
di Fausto Carioti
Si può pensare quello che si vuole della nuova legge sulle intercettazioni, che come ogni altra cosa di questo mondo è migliorabile. Non ci sono dubbi, invece, sul fatto che quella norma, nella formulazione con la quale sta per sbarcare a Montecitorio, sia stata controfirmata da Gianfranco Fini e dai suoi uomini, i quali adesso la vogliono cambiare, tradendo l’impegno preso con il resto del partito. Se andrà davvero così, saremo a una svolta decisiva nella storia di questo Paese: tra Silvio Berlusconi da una parte e il partito di Repubblica e la sinistra dall’altra, l’ex leader di An e un manipolo dei suoi avranno scelto il secondo schieramento. Scelta che può stupire molti elettori del centrodestra, ma che in realtà è coerente con l’ideologia dei personaggi in questione.
Quella che Forza Italia e Alleanza nazionale fossero due partiti perfettamente amalgamabili, infatti, è una favola bella dietro la quale in tanti si nascondono da tempo. Ma le cose sono un po’ diverse. Di sicuro, tanti che erano stati prima del Movimento sociale e quindi di An hanno subito l’attrazione di Berlusconi come unico leader del centrodestra. Il solo in grado di guardare i post-comunisti dall’alto in basso, trattandoli come falliti della politica e relitti della storia (che poi è quello che in molti casi sono). Uno senza complessi d’inferiorità nei confronti di nessuno, semmai anzi con il problema opposto: un ego smisurato. Così, milioni di elettori e migliaia di politici hanno continuato a stare dentro il recinto di An con la propria storia e le proprie idee, ma sapendo bene che chi vinceva le elezioni e distribuiva gli incarichi alla fine era Berlusconi: a suo modo, una garanzia. Per costoro, il parto del PdL è stato naturale e indolore.
Non tutti, però, dentro Alleanza nazionale la pensavano così. Molti, anche se non la maggioranza, avevano un patrimonio di idee non solo diverso da quello dei forzisti (cosa scontata), ma opposto. C’era e permane in costoro, ben radicato e costante, un rifiuto epidermico nei confronti di Berlusconi e tutto ciò che egli rappresenta: il partito-azienda, il profitto incarnato, l’impresa al servizio degli azionisti e non della “comunità”, un liberismo (più mitologico che reale, purtroppo) agli antipodi di quella cultura anticapitalistica che ancora caratterizza parte della destra italiana. Del resto, non si può passare da Ezra Pound a Luigi Einaudi, dal denaro «sterco del demonio» di cui scrive Massimo Fini alle cene con Berlusconi, senza nutrire qualche riserva mentale, senza porsi domande su ciò che si sta facendo. Sono differenze che non riguardano solo i “vecchi”, ma anche i giovani di Forza Italia e An, i quali hanno anch’essi letture e linguaggi diversi e talvolta inconciliabili.
Tutte queste pulsioni sono rimaste sopite a lungo, ma alla fine l’incompatibilità è diventata pubblica e si è saldata con la rabbia di chi sperava di contare di più nel nuovo partito e in questo governo. Il risultato è che adesso il protofiniano Fabio Granata va in giro a dire che cambiare la legge su cui si era trovato l’accordo con Berlusconi e i suoi «è un dovere». Ma allora qualcuno dovrebbe spiegare perché Fini, una settimana fa, aveva detto che quello stesso testo difendeva la legalità, e l’ufficio di presidenza - finiani inclusi - lo aveva votato all’unanimità. Quelli di FareFuturo, poi, sfidano il premier ad andare davvero al voto anticipato per la legge sulle intercettazioni e a giustificare agli elettori una scelta simile in tempi di crisi economica. Ragionamento che non farebbe una grinza, se solo si avesse il coraggio di chiamarlo col suo nome: ricatto.
Ma la vera domanda non è perché adesso questi si rivoltino contro il resto del Pdl, facciano di tutto per ottenere l’applauso della sinistra e non abbiano gli strumenti per reggere l’urto della campagna avviata da Repubblica. Queste sono cose normali per chi, come loro, ha di Berlusconi e dei suoi un’idea simile a quella che ne ha la sinistra, e da una vita anela a farsi riconoscere dai “rossi” la dignità di interlocutore alla pari. La domanda vera è perché, all’epoca, certi esponenti di An scelsero di allearsi con uno come Berlusconi, che rappresentava il contrario di tutto ciò per cui si erano battuti sino ad allora. Forse lo fecero perché credevano che sarebbe stato una meteora, e che dopo a comandare sarebbero stati loro. Aspirazione legittima, che però si è rivelata sbagliata. Oppure lo fecero perché capirono che solo seguendo lui avrebbero finalmente potuto ottenere potere ed emolumenti. Calcolo legittimo anche questo, che però non ha portato dove si voleva, se oggi sono pronti a sfasciare tutto.
Non che i loro progetti abbiano poi tutta questa importanza: il punto di non ritorno ormai è stato passato e, comunque vada questa storia delle intercettazioni, l’unione innaturale è destinata a finire molto presto.
© Libero. Pubblicato il 16 giugno 2010.
Si può pensare quello che si vuole della nuova legge sulle intercettazioni, che come ogni altra cosa di questo mondo è migliorabile. Non ci sono dubbi, invece, sul fatto che quella norma, nella formulazione con la quale sta per sbarcare a Montecitorio, sia stata controfirmata da Gianfranco Fini e dai suoi uomini, i quali adesso la vogliono cambiare, tradendo l’impegno preso con il resto del partito. Se andrà davvero così, saremo a una svolta decisiva nella storia di questo Paese: tra Silvio Berlusconi da una parte e il partito di Repubblica e la sinistra dall’altra, l’ex leader di An e un manipolo dei suoi avranno scelto il secondo schieramento. Scelta che può stupire molti elettori del centrodestra, ma che in realtà è coerente con l’ideologia dei personaggi in questione.
Quella che Forza Italia e Alleanza nazionale fossero due partiti perfettamente amalgamabili, infatti, è una favola bella dietro la quale in tanti si nascondono da tempo. Ma le cose sono un po’ diverse. Di sicuro, tanti che erano stati prima del Movimento sociale e quindi di An hanno subito l’attrazione di Berlusconi come unico leader del centrodestra. Il solo in grado di guardare i post-comunisti dall’alto in basso, trattandoli come falliti della politica e relitti della storia (che poi è quello che in molti casi sono). Uno senza complessi d’inferiorità nei confronti di nessuno, semmai anzi con il problema opposto: un ego smisurato. Così, milioni di elettori e migliaia di politici hanno continuato a stare dentro il recinto di An con la propria storia e le proprie idee, ma sapendo bene che chi vinceva le elezioni e distribuiva gli incarichi alla fine era Berlusconi: a suo modo, una garanzia. Per costoro, il parto del PdL è stato naturale e indolore.
Non tutti, però, dentro Alleanza nazionale la pensavano così. Molti, anche se non la maggioranza, avevano un patrimonio di idee non solo diverso da quello dei forzisti (cosa scontata), ma opposto. C’era e permane in costoro, ben radicato e costante, un rifiuto epidermico nei confronti di Berlusconi e tutto ciò che egli rappresenta: il partito-azienda, il profitto incarnato, l’impresa al servizio degli azionisti e non della “comunità”, un liberismo (più mitologico che reale, purtroppo) agli antipodi di quella cultura anticapitalistica che ancora caratterizza parte della destra italiana. Del resto, non si può passare da Ezra Pound a Luigi Einaudi, dal denaro «sterco del demonio» di cui scrive Massimo Fini alle cene con Berlusconi, senza nutrire qualche riserva mentale, senza porsi domande su ciò che si sta facendo. Sono differenze che non riguardano solo i “vecchi”, ma anche i giovani di Forza Italia e An, i quali hanno anch’essi letture e linguaggi diversi e talvolta inconciliabili.
Tutte queste pulsioni sono rimaste sopite a lungo, ma alla fine l’incompatibilità è diventata pubblica e si è saldata con la rabbia di chi sperava di contare di più nel nuovo partito e in questo governo. Il risultato è che adesso il protofiniano Fabio Granata va in giro a dire che cambiare la legge su cui si era trovato l’accordo con Berlusconi e i suoi «è un dovere». Ma allora qualcuno dovrebbe spiegare perché Fini, una settimana fa, aveva detto che quello stesso testo difendeva la legalità, e l’ufficio di presidenza - finiani inclusi - lo aveva votato all’unanimità. Quelli di FareFuturo, poi, sfidano il premier ad andare davvero al voto anticipato per la legge sulle intercettazioni e a giustificare agli elettori una scelta simile in tempi di crisi economica. Ragionamento che non farebbe una grinza, se solo si avesse il coraggio di chiamarlo col suo nome: ricatto.
Ma la vera domanda non è perché adesso questi si rivoltino contro il resto del Pdl, facciano di tutto per ottenere l’applauso della sinistra e non abbiano gli strumenti per reggere l’urto della campagna avviata da Repubblica. Queste sono cose normali per chi, come loro, ha di Berlusconi e dei suoi un’idea simile a quella che ne ha la sinistra, e da una vita anela a farsi riconoscere dai “rossi” la dignità di interlocutore alla pari. La domanda vera è perché, all’epoca, certi esponenti di An scelsero di allearsi con uno come Berlusconi, che rappresentava il contrario di tutto ciò per cui si erano battuti sino ad allora. Forse lo fecero perché credevano che sarebbe stato una meteora, e che dopo a comandare sarebbero stati loro. Aspirazione legittima, che però si è rivelata sbagliata. Oppure lo fecero perché capirono che solo seguendo lui avrebbero finalmente potuto ottenere potere ed emolumenti. Calcolo legittimo anche questo, che però non ha portato dove si voleva, se oggi sono pronti a sfasciare tutto.
Non che i loro progetti abbiano poi tutta questa importanza: il punto di non ritorno ormai è stato passato e, comunque vada questa storia delle intercettazioni, l’unione innaturale è destinata a finire molto presto.
© Libero. Pubblicato il 16 giugno 2010.