I conti di Bersani smontati dall'Eurostat

di Fausto Carioti

Adesso lo dice anche l’Eurostat: si scrive Pier Luigi Bersani, si legge ragionier Ugo Fantozzi. Giovedì sera, durante Annozero, ricordandosi il motto degli strateghi di Bill Clinton («It’s the economy, stupid!»), il segretario del Pd ha riversato sul governo la colpa della crisi economica. A dargli man forte, le schede preparate dalla redazione di Michele Santoro, con i numeri montati ad arte in modo da far apparire l’Italia come il Paese europeo ridotto peggio. Esempio: sulla tenuta dei redditi delle famiglie, dove l’Italia (da lustri) arranca, la scheda metteva a confronto il nostro Paese con Francia e Germania, ovviamente in situazioni migliori. Ma sulla disoccupazione, dove malgrado tutto l’Italia brilla, lo stesso confronto non è stato fatto, e Santoro si è limitato a dare i numeri dei senza lavoro italiani. I suoi telespettatori non devono sapere che la Francia sta messa molto peggio di noi, né che la disoccupazione media europea (9,7%) è più alta di quella italiana (8,9%). Per non parlare del confronto con la Spagna di José Luis Zapatero, che il Pd prendeva a modello fino a poco tempo fa, dove oggi la disoccupazione supera il 20%. Così Bersani ha potuto accusare Giulio Tremonti e il governo di aver commesso clamorosi «errori nelle politiche economiche e di finanza pubblica». Ovvio: se gli altri vanno meglio, da queste parti qualcuno deve avere sbagliato. «Come mai siamo così bassi con la crescita?» chiedeva Bersani al ministro. Niente di nuovo: non avendo idee da proporre agli elettori, il Pd tifa crisi.

Ma al povero Bersani di questi tempi non ne va dritta una. Ieri mattina l’Eurostat, l’istituto statistico dell’Unione europea, ha diffuso i nuovi dati sulla crescita economica. Nel primo trimestre del 2010 il prodotto interno lordo italiano è cresciuto dello 0,5%, dopo che negli ultimi tre mesi del 2009 era sceso dello 0,1%. Eurolandia, in media, sale appena dello 0,2%. Il Pil francese aumenta solo dello 0,1%, quello tedesco dello 0,2%, il Regno Unito cresce dello 0,3%. La morale è chiara: piaccia o meno a Bersani e Santoro, in questo momento l’economia italiana corre più delle altre e sembra avere appena visto il primo vero segnale di ripresa. L’Istat, confermando che a maggio le richieste di cassa integrazione sono rimaste stabili rispetto ad aprile, dà altri motivi per sperare che il peggio sia davvero alle spalle. Mentre il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, si spinge a prevedere per il Pil italiano un balzo dell’1,2% nell’anno in corso. Bersani dovrà mettere da parte la crescita economica e sforzarsi di trovare altri argomenti.

Certo, il governo Berlusconi non può continuare a gratificarsi con il brutto andamento degli altri Paesi europei. Forse lo hanno capito anche i ministri: al premier che chiedeva a Tremonti interventi per lo sviluppo dopo la mazzata della manovra da 25 miliardi, il titolare dell’Economia sembra aver dato finalmente risposta positiva. Lo ha fatto nel suo stile, come sempre: a costo zero per le casse dello Stato. Tremonti, infatti, ieri ha annunciato una «rivoluzione liberale» che non comporta aggravi di spesa, da attuarsi in due mosse: una riforma dell’articolo 41 della Costituzione, per incentivare l’iniziativa privata rendendo «possibile tutto ciò che non è vietato», e la sospensione temporanea dei controlli e delle verifiche per le piccole e medie imprese. Per aprire un’azienda, in sostanza, i requisiti, anziché prima, saranno esaminati dopo che la ditta è stata avviata. Fosse vero, sarebbe un bel taglio ai «lacci e lacciuoli» di cui parlava Guido Carli trent’anni fa. E comunque, per gli amanti delle statistiche, si tratta del primo annuncio liberista fatto dall’interventista Tremonti in questa legislatura.

I motivi per essere scettici sulla realizzazione di questa deregulation non mancano: gli imprenditori che non hanno potuto usufruire delle agevolazioni accuseranno il governo di sottoporli alla “concorrenza sleale” dei nuovi arrivati. Le corporazioni si inalbereranno e qualcuno nella maggioranza si chiederà se, dopo gli statali, è il caso di inimicarsi anche piccoli imprenditori e professionisti. La legge sulle intercettazioni, del resto, insegna che questo governo spesso parte per abbattere le montagne e finisce per arrancare sui tornanti. Però, oltre al taglio della burocrazia, altre scelte a disposizione dell’esecutivo non se ne vedono. Almeno fin quando Tremonti non deciderà che è giunta l’ora di tagliare le tasse.

© Libero. Pubblicato il 5 giugno 2010.

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