L'unica soluzione possibile per la Rai (e perché non sarà mai adottata)
di Fausto Carioti
Eppure un punto di incontro tra Silvio Berlusconi e i suoi nemici del soviet Rai ci sarebbe. Ieri il presidente del Consiglio ha detto di «non poter più sopportare» che quella italiana sia «l’unica televisione pubblica al mondo che con i soldi di tutti attacca il governo». Ha citato il caso del Tg3, che nell’edizione di giovedì (quella di ieri doveva ancora vederla) gli aveva dedicato quattro titoli «tutti negativi e di contrasto all’attività del governo». Una frase dinanzi alla quale l’Usigrai, vale a dire l’ala sinistra dell’azienda, invoca nientemeno che «un risveglio civile della coscienza degli italiani», mentre Dario Franceschini sostiene che il premier è «impaurito dalla stampa libera», e pazienza se la libertà che invoca il segretario del Pd per i giornalisti Rai è quella di farsi indicare la strada dal suo partito.
Berlusconi qualche buona ragione ce l’ha. Le gogne allestite da Michele Santoro e certe edizioni del Tg3 non hanno uguali negli altri Paesi, perché nessun governo è così scemo da farsi processare in diretta televisiva. Nella liberalissima Inghilterra, nel 2004, il presidente della Bbc Gavyn Davies e il direttore generale Greg Dyke si dovettero dimettere dopo che l’emittente pubblica aveva insinuato (sbagliando) che il primo ministro Tony Blair avesse mentito al Parlamento sulle informazioni in base alle quali era stata decisa la partecipazione al conflitto in Iraq. Si dovesse usare lo stesso metro in Italia, ai piani alti di viale Mazzini sarebbe tutto un via vai di presidenti e direttori generali trombati.
Anche gli accusatori di Berlusconi, però, hanno qualche argomento di facile presa. Perché è vero che al premier fanno capo le tre reti Mediaset e che una fetta dell’informazione Rai è in quota all’esecutivo e alla maggioranza (come è sempre stato in Italia chiunque governasse). Proprio per questo a Rai Tre, nel Tg3 e in casa Santoro si sentono autorizzati a usare i soldi del canone per dare libero sfogo alla loro avversione nei confronti di Berlusconi.
La via d’uscita? Privatizzare la Rai, mettere i canali di viale Mazzini nelle mani dei migliori offerenti. Così sarà il mercato a decidere cosa merita di andare in onda e cosa no. Se i programmi antiberlusconiani (al pari degli altri) faranno scappare i telespettatori, anche gli investitori fuggiranno e i processi televisivi cari alla sinistra lasceranno il posto ai documentari sulle otarie. Se invece continueranno ad andare in onda, nessuno potrà dire che questa aggressione televisiva avviene a spese dei contribuenti.
Privatizzando la Rai, finirebbero pure le polemiche sulle lottizzazioni vere e presunte e sui compensi riservati a chi ci lavora. Dire che deve accedere alla televisione pubblica solo chi lo merita è una frase tanto bella quanto vuota, visto che il merito lo si può misurare solo con la quantità dei telespettatori, e allora dovremmo dare ai tronisti di Maria De Filippi le chiavi di viale Mazzini. Quanto alla pretesa che l’informazione di Stato sia necessaria al bene comune, basta prendere in mano il telecomando per capire che è una bufala: l’informazione di Mediaset, Sky e La7 è «servizio pubblico» almeno quanto quella di Saxa Rubra. Il presidente della Rai, Paolo Garimberti, sembra venire da una galassia molto molto lontana quando pretende di cavarsela, come ha fatto ieri, dicendo che per la Rai «le notizie non hanno colore né odore e vanno date tutte, sempre». Favoletta buona per i bimbi delle elementari, perché i più grandicelli sanno che il racconto della stessa notizia cambia a seconda di dove punti la telecamera e di chi intervisti, e se a 66 anni Garimberti non c’è ancora arrivato se lo faccia spiegare da Santoro.
Insomma, in teoria il problema è di facile soluzione. Ma non se ne farà nulla. Perché Berlusconi e i suoi aggressori sono d’accordo su una cosa sola, che però è la più importante di tutte: nessuno vuole davvero una Rai privata. Pur con ricette diverse, tutti dicono di battersi per una Rai pubblica, anche se ovviamente migliore di quella che c’è adesso. Tutti fingono di non sapere che la Rai è così com’è proprio perché è pubblica, cioè gestita dai politici a loro uso e consumo usando soldi che non sono loro. E se è vero che privatizzare la Rai potrebbe anche non migliorarla, almeno si smetterà di farla pagare ai contribuenti.
© Libero. Pubblicato l'8 agosto 2009.
Eppure un punto di incontro tra Silvio Berlusconi e i suoi nemici del soviet Rai ci sarebbe. Ieri il presidente del Consiglio ha detto di «non poter più sopportare» che quella italiana sia «l’unica televisione pubblica al mondo che con i soldi di tutti attacca il governo». Ha citato il caso del Tg3, che nell’edizione di giovedì (quella di ieri doveva ancora vederla) gli aveva dedicato quattro titoli «tutti negativi e di contrasto all’attività del governo». Una frase dinanzi alla quale l’Usigrai, vale a dire l’ala sinistra dell’azienda, invoca nientemeno che «un risveglio civile della coscienza degli italiani», mentre Dario Franceschini sostiene che il premier è «impaurito dalla stampa libera», e pazienza se la libertà che invoca il segretario del Pd per i giornalisti Rai è quella di farsi indicare la strada dal suo partito.
Berlusconi qualche buona ragione ce l’ha. Le gogne allestite da Michele Santoro e certe edizioni del Tg3 non hanno uguali negli altri Paesi, perché nessun governo è così scemo da farsi processare in diretta televisiva. Nella liberalissima Inghilterra, nel 2004, il presidente della Bbc Gavyn Davies e il direttore generale Greg Dyke si dovettero dimettere dopo che l’emittente pubblica aveva insinuato (sbagliando) che il primo ministro Tony Blair avesse mentito al Parlamento sulle informazioni in base alle quali era stata decisa la partecipazione al conflitto in Iraq. Si dovesse usare lo stesso metro in Italia, ai piani alti di viale Mazzini sarebbe tutto un via vai di presidenti e direttori generali trombati.
Anche gli accusatori di Berlusconi, però, hanno qualche argomento di facile presa. Perché è vero che al premier fanno capo le tre reti Mediaset e che una fetta dell’informazione Rai è in quota all’esecutivo e alla maggioranza (come è sempre stato in Italia chiunque governasse). Proprio per questo a Rai Tre, nel Tg3 e in casa Santoro si sentono autorizzati a usare i soldi del canone per dare libero sfogo alla loro avversione nei confronti di Berlusconi.
La via d’uscita? Privatizzare la Rai, mettere i canali di viale Mazzini nelle mani dei migliori offerenti. Così sarà il mercato a decidere cosa merita di andare in onda e cosa no. Se i programmi antiberlusconiani (al pari degli altri) faranno scappare i telespettatori, anche gli investitori fuggiranno e i processi televisivi cari alla sinistra lasceranno il posto ai documentari sulle otarie. Se invece continueranno ad andare in onda, nessuno potrà dire che questa aggressione televisiva avviene a spese dei contribuenti.
Privatizzando la Rai, finirebbero pure le polemiche sulle lottizzazioni vere e presunte e sui compensi riservati a chi ci lavora. Dire che deve accedere alla televisione pubblica solo chi lo merita è una frase tanto bella quanto vuota, visto che il merito lo si può misurare solo con la quantità dei telespettatori, e allora dovremmo dare ai tronisti di Maria De Filippi le chiavi di viale Mazzini. Quanto alla pretesa che l’informazione di Stato sia necessaria al bene comune, basta prendere in mano il telecomando per capire che è una bufala: l’informazione di Mediaset, Sky e La7 è «servizio pubblico» almeno quanto quella di Saxa Rubra. Il presidente della Rai, Paolo Garimberti, sembra venire da una galassia molto molto lontana quando pretende di cavarsela, come ha fatto ieri, dicendo che per la Rai «le notizie non hanno colore né odore e vanno date tutte, sempre». Favoletta buona per i bimbi delle elementari, perché i più grandicelli sanno che il racconto della stessa notizia cambia a seconda di dove punti la telecamera e di chi intervisti, e se a 66 anni Garimberti non c’è ancora arrivato se lo faccia spiegare da Santoro.
Insomma, in teoria il problema è di facile soluzione. Ma non se ne farà nulla. Perché Berlusconi e i suoi aggressori sono d’accordo su una cosa sola, che però è la più importante di tutte: nessuno vuole davvero una Rai privata. Pur con ricette diverse, tutti dicono di battersi per una Rai pubblica, anche se ovviamente migliore di quella che c’è adesso. Tutti fingono di non sapere che la Rai è così com’è proprio perché è pubblica, cioè gestita dai politici a loro uso e consumo usando soldi che non sono loro. E se è vero che privatizzare la Rai potrebbe anche non migliorarla, almeno si smetterà di farla pagare ai contribuenti.
© Libero. Pubblicato l'8 agosto 2009.