Gli studenti islamici in Europa e le università dei sessantottini

di Fausto Carioti

Chi ancora crede alla favola dell’islamico diventato estremista perché emarginato dalla cattiva società occidentale o perché allevato nell’odio dai tenutari di qualche madrassa è servito. L’ultima picconata a questo mito tanto ingenuo è arrivata dal sondaggio pubblicato domenica dal Times di Londra. Dal quale si apprende che il 32% dei musulmani che frequentano le università del Regno Unito ritiene «giustificabile» uccidere qualcuno per motivi religiosi, il 40% vuole che la sharia, la legge islamica, diventi parte integrante dell’ordinamento giuridico inglese e un quarto di costoro ammette di avere un rispetto «scarso o nullo» nei confronti degli omosessuali. Simili risposte, appunto, non provengono da pakistani che dopo aver passato decenni nel loro paese sono finiti a vendere la frutta nelle bancarelle di Londra, ma da giovani musulmani cresciuti e spesso nati in Inghilterra. Benestanti, istruiti e “accettati” quanto basta da poter frequentare le università del Regno Unito. Il sondaggio, realizzato dal più affidabile istituto demoscopico inglese, YouGov, è stato commissionato dal think tank indipendente Centre for Social Cohesion (Csc), e viene preso molto sul serio dai ministri del governo laburista di Gordon Brown.

Del resto, le indagini hanno mostrato che gli autori della strage di Londra del 7 luglio del 2005, che fece oltre 50 vittime, erano tutt’altro che emarginati. E un sondaggio pubblicato due anni fa dall’emittente pubblica Channel 4 ha rivelato che i giovani musulmani inglesi desiderano la sharia più dei loro genitori, tanto il 34% di loro preferirebbe vivere sotto la legge islamica. Dallo stesso studio, peraltro, emerse che il 31% dei giovani musulmani d’Oltremanica riteneva gli attentati di Londra «giustificati» dall’appoggio che il governo britannico aveva dato alla guerra contro il terrorismo islamico.

Il problema, insomma, non sta nella capacità di accoglienza del Paese ospitante o nell’educazione ricevuta in patria, ma nel fatto che molti musulmani, anche se non sono immigrati di prima generazione e appaiono ben integrati, mostrano una propensione assai scarsa ad abbandonare la violenza. In questo, possono contare su ottimi complici: le istituzioni accademiche occidentali.

L’arrivo in cattedra della generazione sessantottina ha trasformato il volto degli atenei tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. Corsi di studio sui quali si sono formate le classi dirigenti degli ultimi secoli hanno rapidamente perso d’importanza, mentre hanno preso quota insegnamenti figli del pensiero debole, spesso legati a triplo filo con il credo terzomondista ed ecologista dei nuovi baroni universitari. La paura di non avere una mentalità abbastanza aperta alle “diversità” e la voglia di apparire progressisti a tutti i costi ha portato le direzioni degli atenei a lasciare libertà di espressione all’interno dei campus a ogni pensiero, anche il più abietto. L’unico divieto di parola, riguardante le idee filo-naziste, si è rivelato inutile, come conferma lo stesso studio svolto dal Csc: negli atenei inglesi le tesi razziste, infatti, sono propagandate in modo esplicito. Nessuno però si azzarda a muovere un dito, perché a gridare certe frasi non sono giovanotti biondi in camicia bruna, ma uomini con la barba che quasi sempre si chiamano Mohammed.

I ricercatori, che hanno visitato una ventina di università e intervistato 1.400 studenti, islamici e non, hanno scoperto che all’interno di questi atenei i predicatori estremisti incitano regolarmente alla violenza, all’omofobia e all’antisemitismo. Nel Queen Mary College, che fa parte della London University e si vanta di essere una delle scuole più prestigiose del Regno Unito, lo scorso dicembre un predicatore islamico ha invitato gli studenti a condannare i gay, poiché «Allah odia» l’omosessualità. Poche settimane prima la stessa istituzione aveva dato libero sfogo a un supporter dell’organizzazione terroristica palestinese Hamas, il quale aveva colto l’occasione per definire Israele «il progetto più disumano della storia moderna». Il portavoce dell’università non ha trovato nulla di meglio da dire che «la libertà di parola è parte integrante dello spirito della vita universitaria, e può succedere che gli oratori facciano dichiarazioni ritenute offensive». Ovviamente, se gli stessi concetti razzisti fossero stati espressi all’ombra di una svastica la direzione dell’istituto avrebbe subito avvertito la polizia di Sua Maestà.

Intanto la lista delle vittime è già stata aperta: Kafeel Ahmed, l’attentatore suicida che nel giugno del 2007 fece esplodere una macchina-bomba nell’aeroporto di Glasgow, era un ingegnere entrato alla Anglia Ruskin University di Cambridge per specializzarsi in dinamica dei fluidi, e che proprio all’interno dell’ateneo inglese, secondo gli investigatori, venne indottrinato dai fondamentalisti.

Per dirla con le parole del professor Anthony Glees, che insegna Security and Intelligence alla Buckingham University ed è stato uno dei primi a commentare il lavoro pubblicato dal Csc: «C’è un grande divario di cultura tra gli studenti islamici e quelli non islamici. La soluzione consiste nello smettere di celebrare la diversità e focalizzarsi sull’integrazione e l’assimilazione». L’esatto opposto del precetto relativista, per il quale nessun paradigma culturale può ritenersi migliore degli altri.

© Libero. Pubblicato il 29 luglio 2008.

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