Due buone braccia rubate all’agricoltura

di Fausto Carioti

Francesco Saverio Borrelli, capo della procura di Milano, negli anni d’oro di Mani Pulite si fece fotografare e intervistare in divisa da cavallerizzo. Elegantissimo, imperturbabile. Tronfio. Quelle immagini fecero capire all’Italia che c’era una nuova casta al potere, ed era quella dei magistrati. Questo per dire che certe fotografie non arrivano per caso sui giornali. Uno la scenografia se la prepara. Se ha tempo, fa le prove davanti allo specchio, studia le pose da prendere e le cose da dire. Lo ha fatto anche il ringalluzzito Tonino Di Pietro, al quale lo sputtanamento mediatico delle telefonate private di Silvio Berlusconi sta facendo meglio del Viagra. L’ex pm, ovviamente, ci ha messo del suo. Il cavallo? Troppo borghese, meglio il trattore. L’abito da equitazione? Troppo fighetto, una maglietta gialla incrostata di sudore va benissimo. Agghindato così, mascella volitiva e petto in fuori, ieri ha ricevuto giornalisti e fotografi sotto il solleone, mentre assieme ai suoi contadini era intento alla trebbiatura del grano. Ricorda qualcuno?

È da tredici anni che l’ex pm prova ad accreditarsi dinanzi agli elettori come l’uomo della provvidenza. Con i risultati che sappiamo. Adesso, dopo aver fiutato il vento e magari scambiato due chiacchiere con qualche ex collega magistrato, sente aria di nuove tempeste giudiziarie e, immaginando sconvolgimenti politici in arrivo, prova a rilanciarsi. Il sonno perdurante di Walter Veltroni lo aiuta. Lui, Tonino, fa quello che può, pescando dal suo immaginario sempliciotto. Di tutti i modelli che poteva scegliere, inconsciamente deve aver adottato quello che ritiene più vicino a sé.

Del resto, il Duce diceva che «il contadino deve rimanere fedele alla terra, fiero di lavorare il suo campo». E Di Pietro, ieri, dopo aver annunciato di essersi alzato «prestissimo» per mettersi al lavoro, ha assicurato gli italiani che la battaglia del grano non è ancora persa: «Il raccolto è andato benone, contiamo di raccogliere 40-50 quintali di grano, che porterò direttamente all’ammasso». Corsi e ricorsi: alle otto del mattino del 27 giugno del 1935, a Borgo Pasubio, nell’Agro Pontino, toccò al suo più illustre predecessore salire sulla trebbiatrice. Alle nove e dieci, raccontano le cronache dell’Istituto Luce, «si fa la conta dei sacchi: ci sono già sette quintali di ottimo grano. Al Duce viene porto il foglio della paga: lo firma, soddisfatto e felice».

Lo avvicinano alla Buonanima anche l’amore per le maniere spicce, una certa smania di sbattere gli avversari in carcere senza indulgere in perniciose procedure garantiste e un linguaggio alquanto schietto. Per dire: ieri Tonino ha dato a Berlusconi del «magnaccia», riecheggiando gli apprezzamenti coloriti che Benito Mussolini riservava ai suoi nemici di mezzo mondo.

Purtroppo per il leader dell’Italia dei Valori, però, le somiglianze finiscono qui. Per diventare interpreti della pancia degli italiani non basta sporcarsi le mani di terra, insultare gli avversari e agitare le manette. I giornalisti pronti a dare un senso epocale a ogni tua parola sono necessari, ma non sufficienti. Servono visione politica, carisma, sangue freddo e consiglieri politici all’altezza. Roba che dalle parti di Di Pietro non si è mai vista. Così, alla fine, dopo la performance rurale di ieri, la sensazione che resta impressa non è un’improbabile somiglianza col Duce. Ma quella, assai più tranquillizzante, di due buone braccia rubate all’agricoltura.

© Libero. Pubblicato il 29 giugno 2008.

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