L'accordo sul clima è buono proprio perché finto

di Fausto Carioti

Anche a sinistra sono in pochi a dirlo, perché lì sopra c’è la firma di Barack Obama, e qualunque cosa faccia il Messia è per definizione equa, solidale ed eco-compatibile, oltre ad essere ovviamente un successo. La verità, però, è che, al di là della solita prosopopea di rito, l’accordo sulle politiche per il clima raggiunto all’Aquila - ridurre del 50% le emissioni di gas serra entro l’anno 2050, senza prevedere target intermedi - è un accordo fittizio, perché rimanda tutto a babbo morto. Nonostante questo, non è stato accettato da molti Paesi, incluso quello che emette più anidride carbonica di tutti, cioè la Cina. Così, quando i vertici italiani di Greenpeace si lamentano perché quella del G8 è un’intesa «generica», che si limita a «contenere l’aumento della temperatura terrestre entro i 2 gradi, senza un piano chiaro, senza investimenti e senza obiettivi», dicono una cosa vera. La bella notizia è che - proprio per i motivi per cui agli eco-catastrofisti non piace - quello trovato in Abruzzo è un buon accordo.

Nella dichiarazione dei leader del G8 siglata mercoledì si stabilisce di «condividere con tutti i Paesi lo scopo di raggiungere una riduzione pari almeno al 50% delle emissioni globali entro il 2050» e di «appoggiare l’obiettivo dei Paesi sviluppati di ridurre le emissioni complessive di gas serra almeno dell’80% entro il 2050 rispetto al 1990 o agli anni più recenti». Quest’ultima condizione, che rende i vincoli ancora più laschi, è stata chiesta da Obama: il presidente statunitense ha già faticato tanto per ottenere dalla Camera il via libera a dimezzare entro il 2050 le emissioni del 2005, e mai riuscirebbe ad avere semaforo verde per un obiettivo più ambizioso.

Ieri il G8 si è allargato ad altri Paesi, e questo ha reso ancora più evanescenti gli obiettivi fissati il giorno prima. Il consesso dei diciassette, che raggruppa i Paesi del G8, le principali economie emergenti e la Danimarca (che a dicembre ospiterà la prossima conferenza mondiale sul clima), non è riuscito a raggiungere l’intesa sull’obiettivo di dimezzare le emissioni nei prossimi quarant’anni, che a questo punto vincola solo i membri del G8. Ma così, oltre a essere calibrato su un futuro lontano, l’accordo diventa inutile. Perché la prima a non accettarlo è la Cina, che già adesso è il Paese che produce più anidride carbonica al mondo e, se non adotterà interventi, da qui al 2030 raddoppierà le sue emissioni. Altro che dimezzamento.

Un dramma per le sorti del pianeta, come qualcuno oggi vorrà farci credere? Manco per niente. Il messaggio che i leader internazionali spediscono al mondo dall’Abruzzo è realistico e molto sensato: non hanno alcuna intenzione di ridurre ancora di più lo sviluppo per star dietro alle smanie eco-catastrofiste di Al Gore e di certe associazioni ambientaliste. Meglio procedere in modo graduale. Obama, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel, Silvio Berlusconi e gli altri, inclusi quelli che arriveranno al governo nei prossimi anni, faranno quello che potranno. Useranno la leva verde per finanziare con denaro pubblico la costruzione di centrali elettriche a zero emissioni di anidride carbonica (in altre parole avremo più centrali nucleari), per agevolare l’innovazione dei costruttori di automobili, delle imprese che producono materiale per l’edilizia e di chiunque abbia un business legato all’emissione di CO2 e al risparmio energetico (la lista degli interessati è molto lunga). Nell’immediato quello dell’ecologia sarà anche un buon pretesto per usare i soldi dei contribuenti allo scopo di sostenere l’occupazione nelle aziende impantanate nella crisi economica. Più di questo, però, non hanno intenzione di fare.

Toccherà a chi siederà al loro posto tra qualche decennio decidere se insistere e puntare davvero a dimezzare le emissioni, o far fare all’accordo raggiunto ieri la fine del trattato di Kyoto, che imponeva di tagliare le emissioni dei gas serra del 5% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2012, ed è fallito perché nessun Paese era disposto a rovinarsi per contrastare un “global warming” su cui ci sono più dubbi di quanti se ne ammetta in pubblico. Sarà un caso, infatti, ma i tempi lunghi che sono stati previsti all’Aquila dovrebbero servire anche a far luce sull’aspetto scientifico della questione. A capire, cioè, se davvero la Terra vada verso il surriscaldamento e se l’uomo c’entri qualcosa. Perché non è affatto vero quello che dicono gli eco-allarmisti, e cioè che il 99 per cento della comunità scientifica è convinta che la risposta alle due domande sia “sì”. Per dire: i repubblicani americani hanno presentato al Senato un rapporto di minoranza in cui sono raccolti i pareri di 650 scienziati, inclusi alcuni premi Nobel, che la pensano esattamente al contrario. I leader convenuti al G8 non potevano dare ragione a questi “negazionisti”, le cui teorie sono ritenute politicamente scorrette. Potevano però spostare il momento della verità al 2050, ed è proprio quello che hanno fatto. Segno che nessuno di loro crede davvero che l’apocalisse climatica sia dietro l’angolo.

© Libero. Pubblicato il 10 luglio 2009.

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