Artisti e islam: colpirne uno per educarne cento

E' servito. Eccome se è servito l'omicidio di Theo Van Gogh ad opera del marocchino-olandese Mohammed Bouyeri. Oggi uno dei più noti artisti inglesi, Grayson Perry, dice quello che tanti altri artisti e uomini di satira non hanno il coraggio di dire. E cioè che ha scelto coscientemente di evitare di affrontare nei suoi lavori - di solito assai provocatori - il tema dell'Islam radicale. E lo ha fatto per paura di essere sgozzato.

«Mi sono autocensurato», ha confessato durante un convegno su arte e politica Perry, coraggioso nell'ammettere finalmente la propria vigliaccheria. «Il motivo per il quale non ho attaccato l'integralismo islamico nella mia arte è che ho realmente paura che qualcuno mi tagli la gola».

Tim Marlow, direttore della principale galleria di Londra, conferma che le paure di Perry non sono solo sue: «E' qualcosa di concreto, ma che pochissime persone hanno ammesso in modo esplicito. Istituzioni, musei e gallerie sono probabilmente responsabili della maggior parte dei casi di censura. Mentirei se dicessi che noi saremmo pronti a mostrare qualcosa di simile alle vignette danesi. Penso che ci siano buoni motivi per essere preoccupati».

Poi, però, non chiediamoci come mai artisti, comici e sedicenti intellettuali, ogni volta che per fare i tragressivi a buon mercato scelgono di prendersela con la religione, finiscono per irridere solo la chiesa cattolica e il Vaticano. Il motivo è chiaro: è una questione di gola.

Post scriptum.
Sulla stessa vicenda: The art of self censorship, di Flemming Rose.
Da questo stesso blog: Via da questa Europa; Islam e autocensura, ennesima puntata; "Infedele", di Ayaan Hirsi Ali.

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