Tassa sulla sicurezza? No, grazie

di Fausto Carioti

Fa onore, a Pier Ferdinando Casini, che abbia il coraggio di dire cose scomode in campagna elettorale. Il problema è che non tutte le proposte scomode sono anche intelligenti. L’esempio ce l’ha dato ieri lo stesso leader dell’Udc. Ha fatto sapere che nel suo programma elettorale è prevista l’introduzione di un nuovo balzello, con cui finanziare la lotta alla criminalità. «I cittadini italiani pagherebbero volentieri una “tassa di scopo” per la sicurezza e per le forze dell’ordine», sono state le sue parole. Dubitare della felicità dei contribuenti dinanzi a una nuova imposta è lecito, e comunque il candidato premier dei centristi non sembra avere idee chiarissime su quali siano i compiti dello Stato e a cosa serva una tassa di scopo.

Quest’ultima è un’imposta che serve a realizzare un intervento ben preciso, straordinario e limitato nel tempo. Ad esempio, la Finanziaria 2007 aveva autorizzato i Comuni ad aumentare l’Ici, al massimo per cinque anni, per coprire un terzo dei costi della costruzione di nuove opere pubbliche. Si tratta di spese che riguardano settori anche importanti, ma comunque fuori dal “core business” quotidiano dello Stato. Se occorre fare “qualcosa in più” del normale, i cittadini debbono pagare “qualcosa in più” del solito: la filosofia della tassa di scopo è questa.

I suoi compiti di tutti i giorni, invece, uno Stato li finanzia con la fiscalità generale. Nessuno, nemmeno Vincenzo Visco, si è sognato di chiedere ai cittadini soldi in più apposta per mantenere aperte le scuole. E lo stesso vale per la difesa, la giustizia e gli altri “servizi” essenziali. Di tutti questi compiti, poi, la sicurezza è l’unico che dà davvero un senso all’esistenza dello Stato. Non a caso gli ultrà del pensiero liberale, i “miniarchici”, ritengono che il governo debba occuparsi solo di sicurezza. Lo Stato, ridotto ai minimi termini, è un “nightwatch state”, la guardia notturna che ha il compito di far dormire sonni tranquilli ai suoi contribuenti. Insomma, non c’è nulla di straordinario nel difendere i cittadini dalla criminalità: questo è al cuore dell’ordinaria amministrazione e deve essere la prima destinazione dei soldi dei contribuenti.

Che c’entra, allora, l’esigenza di sicurezza con l’introduzione di una nuova imposta “di scopo”? Nulla. L’unica spiegazione è che si tratti di un imbellettamento linguistico. Ma la necessità di un fine - vivere tutti sicuri - non giustifica l’ennesima tassa. Al contrario, rende insopportabile il fatto che lo Stato non sappia provvedervi con i fondi ordinari e debba ricorrere a una nuova spremuta ai danni del contribuente.

E poi a trovare i soldi aumentando le tasse sono capaci tutti, c’è riuscito persino Tommaso Padoa Schioppa. Sarebbe molto più sensato, invece, finanziare i compiti principali dello Stato riducendo le spese per certe attività secondarie. Ad esempio, i soldi per la sicurezza si possono recuperare, in tutto o in parte, tagliando gli stanziamenti pubblici per film, spettacoli teatrali e altre presunte “attività culturali”, utili soprattutto a mantenere clientele e foraggiare parassiti.

Perché sarà anche vero che lo Stato per pagare la benzina alle vetture della polizia è costretto a raschiare il fondo del barile. Ma non è che i contribuenti, specie di questi tempi e con una pressione fiscale giunta ai massimi storici (43,3% del Pil: grazie, presidente Prodi) siano messi meglio. Nessun dubbio, dunque, che si debbano trovare i soldi necessari a far lavorare nel modo migliore carabinieri e poliziotti. Ma chi deve mettersi a dieta è lo Stato, non chi lo finanzia. Un taglio della spesa pubblica “di scopo”: i cittadini, senza dubbio, lo apprezzerebbero assai più della nuova tassa di Casini.

© Libero. Pubblicato il 6 marzo 2008.

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