Sull'islam il servizio pubblico televisivo c'è: si chiama Sky

di Fausto Carioti

Un’emittente, ieri sera, ha fatto quello che dovrebbe fare il servizio pubblico televisivo: trasmettere un’inchiesta giornalistica vera, scomoda quanto basta per mettere addosso al telespettatore una certa inquietudine. Questa emittente, purtroppo, non era un canale della Rai, che per fare servizio pubblico è pagata dai contribuenti, ma un canale privato, di proprietà di Rupert Murdoch: SkyTg24. Controcorrente, la trasmissione di Corrado Formigli, uno della scuola Santoro, ha fatto quello che Michele Santoro non ha mai avuto voglia di fare: un’indagine “sotto copertura” nelle moschee italiane. Due giornalisti musulmani - lei somala, lui iracheno - sono andati in incognito, con la telecamera nascosta sotto il niqab (il velo integrale) di lei, a conversare con gli imam delle moschee di viale Jenner a Milano, di Varese e di Centocelle a Roma. Tanto per far capire ai telespettatori cosa predicano costoro ai musulmani in Italia, e che genere di persone frequentino quegli ambienti. Così, per la prima volta, sono stati mostrati in televisione gli interni delle due moschee lombarde.

Nei centri islamici di Varese e viale Jenner l’atmosfera è apparsa subito assai più pesante che a Centocelle. I musulmani di Milano hanno minacciato fisicamente il giornalista iracheno, che si era dichiarato come tale e aveva iniziato a fare troppe domande. L’imam di viale Jenner, l’egiziano Abu Imad, sembra un agente di borsa quando ai suoi tre cellulari parla di soldi: migliaia di euro, di cui pare disporre senza problemi. Da dove gli arrivano tutti quei soldi? Come li usa? I suoi progetti per l’Italia sono molto chiari: «A noi la loro democrazia fa comodo. (...) Mettiamo che il mezzo per raggiungere la sharia di Allah siano elezioni libere o l’esercizio del potere. Mettiamo che i musulmani in Italia siano d’accordo ad istituire la sharia di Allah. E allora...». E allora, va da sé, anche l’Italia sarà governata dalla sharia, la legge di Allah. Al giovane munito di telecamera nascosta, Abu Imad spiega che «dove la sinistra è forte, come in Liguria e in Emilia, noi stiamo meglio. Ma purtroppo la sinistra in Lombardia è meno forte». Anche l’imam di Varese, l’estremista Haji Ibrahim, che sostituisce un collega finito in carcere, non ha dubbi quando si parla di politica: «Questo governo è meglio di quell’altro, di destra». Le sue affinità con la sinistra terminano quando si parla di abbigliamento femminile: «Sono convinto che la donna deve portare il niqab in questa società immorale». Il suo compito a Varese, Haji Ibrahim lo riassume così: «Stiamo combattendo una guerra, qui siamo in trincea».

La domanda è perché niente del genere sia mai passato sugli schermi Rai, in una delle tante trasmissioni di sedicente approfondimento giornalistico finanziate con i 104 euro annuali del canone televisivo. E dire che la ricetta non è originale. Il 15 gennaio un’inchiesta assai simile era andata in onda su Channel 4, emittente del Regno Unito (è una rete pubblica: ma allora si può). Agli imam d’Oltremanica erano state carpite frasi ancora più allarmanti di quelle registrate ai loro colleghi in Italia: uno di loro ha detto che compito degli islamici inglesi deve essere «smantellare» la democrazia britannica, vivendo «come uno Stato all’interno dello Stato» fin quando non saranno «forti abbastanza da prendere il potere».

Viale Mazzini si vanta di essere la prima impresa d’informazione del Paese. Sulla carta, il primato c’è tutto: secondo l’ultimo bilancio, l’azienda ha a libro paga 2.004 giornalisti, 1.691 dei quali con contratto a tempo indeterminato. Al confronto, tutti i concorrenti sono nanetti da giardino: Mediaset conta 365 giornalisti, SkyTg24 ne ha 110. Il primato di viale Mazzini, però, non va molto oltre queste cifre. Pochissime trasmissioni Rai hanno il coraggio di fare inchieste giornalistiche degne di questo nome. In compenso, sugli schermi pubblici si vedono in continuazione banali interviste ai passanti rivendute ai telespettatori come «inchieste», roba da convocare d’urgenza l’ordine dei giornalisti, se solo ce ne fosse uno. Chi le inchieste le fa, come Milena Gabanelli e - ogni tanto - Santoro, cavalca i temi cari alla sinistra, e non ha alcuna intenzione di provare a smontare i clichè del politicamente corretto. Il multiculturalismo è un dogma che nessuno si azzarda a mettere in discussione. Meglio mandare in onda la centesima inchiesta su Silvio Berlusconi e lo stalliere di Arcore, piuttosto che correre il rischio di fare incavolare qualche imam e di passare per fiancheggiatore della legge Bossi-Fini.

Insomma, non era difficile per la Rai realizzare un’inchiesta come quella trasmessa ieri da SkyTg24. Le risorse ci sono tutte, quelle che mancano sono la curiosità giornalistica e la voglia politica di farlo. Il fatto che si tratti di servizio pubblico rende queste due assenze ancora più gravi.

© Libero. Pubblicato il 2 febbraio 2007.

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