La grande ipocrisia di Romano Prodi e Kofi Annan

Primo: onore ai nostri soldati. Chi deve imbarazzarsi a mandare in giro per il mondo carri armati italiani non sta da queste parti. Secondo: dal punto di vista politico la missione Onu è già partita col piede sbagliato. Dopo la totale mancanza di certezze su chi dovrà disarmare Hezbollah, dopo l'atteggiamento imbarazzato dei paesi europei (6.900 soldati, quasi metà dei quali italiani, possono essere venduti come un grande successo diplomatico solo da Romano Prodi), la conferma dell'ipocrisia che avvolge l'intera operazione è arrivata dalla nota ufficiale emessa da palazzo Chigi al termine della telefonata tra Prodi e il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan. I due «hanno convenuto che occorrerà ora dar corso rapidamente agli impegni presi in Libano, senza dimenticare gli altri nodi politici nella regione mediorientale, a partire dal problema palestinese che resta centrale per pervenire a una pacificazione complessiva dell'area».

Annan e Prodi confermano così di non avere alcuna volontà di vedere le cose come stanno, di riconoscere ufficialmente qual è il nocciolo del problema. Che non è la questione palestinese, ma quella israeliana. La madre di tutti i problemi attorno alla quale ruota l'intera crisi mediorientale è infatti - dal 1948 - il riconoscimento dello stato di Israele e del suo diritto a esistere da parte degli stati arabi confinanti. E non perché i diritti degli uni vengano prima di quelli degli altri. Ma per ragioni storiche. La questione palestinese è stata sempre ritenuta secondaria rispetto alla questione israeliana non solo dal governo di Tel Aviv (cosa di per sé normale), ma dagli stessi stati arabi, che hanno sempre messo al primo punto della loro agenda la distruzione dello stato di Israele, a costo di rinunciare per essa alla creazione dello stato palestinese. E proprio questo è il nodo vero della faccenda, qui è il blocco da rimuovere, qui quello che Prodi, Annan e i tanti ipocriti che la pensano come loro si rifiutano di vedere.

Israele, infatti, aveva già accettato nel 1947 la presenza di uno stato palestinese al proprio fianco, così come previsto dalla risoluzione 181 delle Nazioni Unite, votata il 29 novembre del 1947 (e ovviamente approvata perché ottenne il voto favorevole anche dell'Urss e dei paesi del patto di Varsavia). Risoluzione che imponeva la creazione di uno stato arabo indipendente, di uno stato israeliano e di un'amministrazione internazionale controllata per la città di Gerusalemme. Ma già il 15 maggio 1948, poche ore dopo la nascita ufficiale dello stato d'Israele, mentre le Nazioni Unite stavano a guardare, Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania provarono ad uccidere il neonato nella culla. Se gli arabi avessero accettato la risoluzione dell'Onu sarebbe nato lo stato palestinese. Ma la creazione di un simile stato era l'ultima delle preoccupazioni dei paesi arabi: il loro obiettivo principale, al quale ogni altro scopo poteva e doveva essere sacrificato, era la distruzione di Israele.

Quanto ai primi rappresentanti ufficiali dei palestinesi, ovvero all'Olp, l'organizzazione per la liberazione della Palestina, che oggi rivendica come territori dello stato palestinese Cisgiordania e Striscia di Gaza, essa nacque nel 1964. E cioè quando la Cisgiordania apparteneva alla Giordania e la Striscia di Gaza all'Egitto. E' quindi a questi due stati che, in teoria, l'Olp si sarebbe dovuta rivolgere per ottenere i territori desiderati. E invece lo scopo istituzionale dell'organizzazione, come si si legge nel suo atto costitutivo originale del 1964 (art. 17, 18 e 19), emendato solo nel 1988, era la distruzione dello stato di Israele. Gli stessi attentati palestinesi contro i civili israeliani iniziarono ben prima della guerra dei sei giorni, cioè del controllo israeliano su Gaza e Cisgiordania, assunto nel 1967 in seguito all'aggressione (resa possibile dall'atteggiamento rinunciatario dell'Onu) da parte di Egitto, Iraq, Siria, Giordania, Libano e Arabia Saudita. Quindi, piaccia o non piaccia, i primi a respingere la risoluzione Onu che assegnava loro uno stato sono stati proprio i rappresentanti del popolo palestinese, che almeno sino al 1988 hanno anteposto la distruzione di Israele alla creazione di un loro proprio stato. (Qui la lettera del 13 gennaio 1988 con cui Yasser Arafat comunicava al presidente statunitense Bill Clinton che l'Olp aveva finalmente riconosciuto il diritto di Israele a esistere).

Nel 1967, al termine della guerra dei sei giorni, lo stato di Israele era pronto a rinunciare ai "territori contesi", dando il Sinai all'Egitto, il Golan alla Siria e la Cisgiordania alla Giordania (cui l'Onu, nel 1950, aveva assegnato la zona). Avrebbe potuto essere questa l'occasione buona per creare uno stato palestinese. In cambio, scottato dall'esperienza del 1948 e dal recente attacco, Israele chiedeva che gli stati arabi coinvolti nella trattativa ne riconoscessero ufficialmente il diritto a esistere. La Lega Araba rispose "no": «Nessuna pace con Israele, nessun riconoscimento di Israele, nessuna trattativa con Israele». La creazione di uno stato palestinese continuava a pesare assai meno dell'odio per Israele. (Solo l'Egitto, nel 1978, con gli accordi di Camp David, accettò lo scambio, che avvenne l'anno seguente. Nel 1994 fu il turno del trattato di pace tra Israele e Giordania).

Dunque, da un punto di vista storico, logico e politico, non ci può essere alcuna «pacificazione complessiva dell'area» senza che prima, o quantomeno contestualmente alla creazione di uno Stato palestinese, la Lega Araba, e soprattutto i paesi arabi che hanno Israele a portata di missile, riconoscano ufficialmente il diritto di Israele ad esistere. Diritto riconosciuto oggi solo da tre Stati arabi: Egitto, Giordania e Mauritania. Che Annan e Prodi, persino in questi giorni, non abbiano il coraggio di accennare alla questione, è cosa davvero imbarazzante, e purtroppo giustifica tutte le diffidenze di Israele e degli Stati Uniti nei confronti della diplomazia Onu ed europea.

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