La grande bugia afghana

di Fausto Carioti

Poi dicono che gli italiani perdono interesse per la politica. Sarebbe strano il contrario. Il balletto che governo e Parlamento stanno facendo da giorni attorno ai duemila militari italiani in Afghanistan non solo è moralmente indecente - di mezzo ci sono le vite dei nostri soldati - ma anche incomprensibile agli occhi di una persona normale. È bastato che le agenzie di stampa spagnole mettessero nero su bianco l’indicibile, e cioè che i soldati italiani, assieme a quelli inviati da Madrid e alle truppe regolari afghane, stanno combattendo da lunedì «la più imponente offensiva contro il movimento talebano dall’inizio dell’anno», per sollevare il velo di ipocrisia e mandare nel panico tutte le marionette del teatrino.

Tutti sanno che laggiù i nostri soldati sparano e partecipano alle operazioni militari della Nato. Lo sanno il governo e la maggioranza, ma non lo possono ammettere in pubblico per non mettere in imbarazzo l’ala sinistra dell’Unione. Lo sanno Rifondazione e Comunisti italiani, ma debbono fingere di ignorarlo per non perdere definitivamente la faccia davanti ai loro elettori. Lo sa l’opposizione, dove però di questi tempi si preferisce limitarsi a timbrare il cartellino e si fa di tutto per evitare di sottoporre Romano Prodi a shock eccessivi: cagionevole com’è, se poi cade per davvero quelli della Cdl rischiano di ritrovarsi impastoiati in un governo tecnico benedetto da Giorgio Napolitano, e allora addio risate alle spalle della sgangherata combriccola di ministri. Finché non ci sarà la certezza di andare alle urne (cosa sulla quale il centrodestra è tutt’altro che d’accordo) Berlusconi eviterà di tentare il colpo di grazia a Prodi.

Così ieri in tanti avrebbero volentieri fatto finta di non vedere le notizie in arrivo dalla Spagna. Che però avevano il grave difetto di essere dettagliate e concordi. Due delle principali agenzie di Madrid, citando fonti del ministero della Difesa spagnolo, svelavano che i soldati italiani e quelli spagnoli già da lunedì sono impegnati in una massiccia missione militare per «impermeabilizzare» la frontiera sudoccidentale dell’Afghanistan, bloccando le infiltrazioni dei talebani. Al comando dell’intera operazione, destinata a durare sino al 10 aprile, gli spagnoli indicano «el general italiano Antonio Satta». Insomma, ci siamo dentro sino al collo. Come se non bastasse, la Nato ha annunciato l’avvio, in tempi rapidi, di una nuova operazione militare e civile in Afghanistan.

Quando il governo è stato chiamato dall’opposizione a rendere conto delle notizie provenienti da Madrid, si è assistito a scene di rara comicità. Ugo Intini, viceministro degli Esteri, ha balbettato: «Non abbiamo ancora elementi sufficienti per riferire davanti alle commissioni». Lorenzo Forcieri, ds, sottosegretario alla Difesa, ha recuperato dagli annali della prima repubblica perifrasi ambigue degne dei migliori democristiani: le truppe italiane in Afghanistan «stanno svolgendo quello che sono lì per fare»; «non credo sia possibile che le nostre truppe possano partecipare alle operazioni di attacco nei confronti dei talebani, dei terroristi o dei ribelli». Come fa un viceministro agli Esteri a non avere «elementi sufficienti» per dire se stiamo partecipando a una simile operazione militare? Con che faccia un sottosegretario alla Difesa si limita a «non credere possibile» il coinvolgimento armato del nostro contingente, quando la responsabilità di ciò che i nostri soldati possono fare a Kabul e dintorni è tutta politica?

Mancano due settimane alla votazione in Senato sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, e il governo già rischia di tornare in fibrillazione per colpa di una notizia che tutti sanno essere vera, ma nessuno vuole che divenga ufficiale. Anche l’amico spagnolo di Prodi, il premier José Luis Zapatero, dal cui governo era partita la scomoda verità, non è riuscito a dare a palazzo Chigi un aiuto decente. Gli uffici del ministerio de Defensa si sono limitati a «non confermare» ufficialmente la presenza dei militari italiani, che nel gergo politico e giornalistico è cosa assai diversa da quella smentita che avrebbe voluto Prodi, e che Madrid non ha potuto dargli.

Siccome il coraggio, anche quello politico, uno non se lo può dare, nessuno si illude che di punto in bianco Prodi e Arturo Parisi ammettano che i soldati italiani sparano, e che sarebbe giusto dotarli di mezzi blindati e regole d’ingaggio adeguati allo scontro con i talebani. Il rischio, però, è che questa operazione-verità, se non la fanno loro, la faccia - Dio non voglia - qualche soldato italiano spedito da Kabul a Ciampino dentro un sacco nero. Sarebbe peggio per tutti: per il governo, per la maggioranza e per l’opposizione. E soprattutto, ovviamente, sarebbe peggio per il povero ragazzo chiuso in quel sacco.

© Libero. Pubblicato il 15 marzo 2007.

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