Niente nuove carceri: un anno di indulto buttato via

di Fausto Carioti

La sicurezza e le carceri - compresi coloro che dentro i penitenziari vivono e lavorano - sono in fondo alle priorità della classe politica italiana. Detta in parole più semplici: non gliene frega niente a nessuno. Il risultato è che, un anno e due mesi dopo l’entrata in vigore dell’indulto, stanno peggio sia i detenuti, che vivono in prigioni di nuovo affollate oltre il limite della capienza, sia i cittadini, che hanno visto aumentare le violenze ai loro danni proprio per colpa di chi è stato scarcerato grazie a quella legge. Dei beneficiati dal provvedimento, 6.194 individui, pari al 22% del totale, sono già stati rispediti in cella. Il loro ritorno ha portato il totale dei detenuti a quota 45.985, quasi tremila in più di quanti ne possano essere ospitati.

Non doveva andare così. L’indulto era stato presentato come l’occasione per correre ai ripari ed evitare che si ripetessero situazioni come quella del luglio 2006, quando in carcere c’erano 60.710 detenuti, il 40% in più di quanti le celle ne potessero sopportare. Grazie al provvedimento di clemenza, il loro numero scese a 38.847, ma era intuibile che presto molti sarebbero tornati dentro. Per tenere fede all’impegno preso con i cittadini - che intanto stavano pagando in prima persona la messa in libertà di certi personaggi - si sarebbe dovuta fare l’unica cosa suggerita dal buon senso: costruire in fretta nuovi penitenziari. Si è preferito non fare nulla.

Innanzitutto - è stata la spiegazione - perché la pecunia, come da tradizione, nelle casse pubbliche scarseggia. Però i soldi per continuare a far viaggiare gratis gli ex deputati non sono mai mancati, in quest’anno la ditta Prodi & Padoa Schioppa è riuscita a far evaporare un “tesoretto” fiscale pari a 10 miliardi di euro e pochi giorni fa il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, al termine di una conferenza sui mutamenti climatici che è stata spernacchiata dal maggior esperto italiano del settore, Franco Prodi (fratello di Romano), ha presentato ai contribuenti un conto di 300 milioni di euro l’anno, minimo indispensabile per placare le sue ansie ecocatastrofiste. Quando vogliono, insomma, i soldi sanno dove trovarli e come spenderli.

L’altro motivo per cui non ci si sbatte per costruire nuove prigioni è la contrarietà di una fetta importante del centrosinistra, la quale pensa che fare certe cose sia “di destra”. Se ne deduce che sia di sinistra (delle due l’una) o tenere i detenuti pigiati nelle celle come sardine in scatola o lasciare delinquenti conclamati liberi di rapinare e ammazzare.

Quando governava la Casa delle libertà (metà della quale condivide con il centrosinistra colpe e meriti dell’indulto) non si brillava per decisionismo, ma almeno i problemi delle carceri si limitavano al bilancio e non vi erano pregiudiziali ideologiche. Oggi, quando dice che intende aumentare i posti nei penitenziari, l’attuale ministro della Giustizia, Clemente Mastella, deve fare i conti con alleati politici assai più ostili di quelli che circondavano il suo predecessore, il leghista Roberto Castelli. Ambedue i ministri, almeno a parole, hanno avuto presente lo sfascio del sistema carcerario. Tanto che, grazie all’ampliamento dei penitenziari esistenti, stanno per aggiungersi 5.886 posti a quelli attuali. Ma è troppo poco, servono nuove strutture. Per costruirle, però, occorre uno sforzo politico e finanziario che nessuno ha voglia di fare. Eppure il confronto internazionale parla chiaro: l’Italia ha 75 posti in carcere ogni centomila abitanti, la Francia ne ha 82, la Germania 97, il Regno Unito 131.

A conti fatti, resta l’ennesima occasione perduta. Il tempo per realizzare nuovi penitenziari c’era tutto. Non sarà elegante ricordarlo, ma in poco più di un anno - dal gennaio del ’36 all’aprile del ’37 - Benito Mussolini costruì i grandi studi di Cinecittà. Sarebbe bello continuare a non rimpiangerlo, se solo ce ne fosse la possibilità.

© Libero. Pubblicato il 23 settembre 2007.

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