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Visualizzazione dei post da ottobre, 2008

Le riforme della Cgil

Tanto per capire. Alla manifestazione di oggi ovviamente c'era Guglielmo Epifani. Ha detto  dal palco che la Cgil è pronta alla «sfida riformatrice» per la scuola. «Non siamo quelli che proteggono i fannulloni», ha assicurato. Viene quasi voglia di credergli. Se non fosse per la frase successiva: «Qui non ci sono fannulloni. Nella scuola non si sono mai visti». Mai visti, già. E gli studenti, là sotto, lo hanno pure applaudito.

That's what friends are for

Thank you babe ;-)

I diritti degli invisibili

di Fausto Carioti C’è qualcuno disponibile ad aiutare Abele? Perché la violenza è già arrivata nelle scuole e nelle università italiane. Ma siccome le sue vittime subiscono i soprusi in silenzio, e nessuna telecamera si degna di inquadrarle, e nessun giornale ne tramanda le gesta ai posteri, la classe politica ha deciso di fregarsene. I diritti della stragrande maggioranza di studenti, professori e lavoratori della scuola e degli atenei non sono difesi da nessuno. Né dal centrodestra, che è al governo, e tantomeno dal centrosinistra, per il quale diritto allo studio e diritto al lavoro sono solo randelli da dare in testa agli avversari e riporre nello sgabuzzino quando non servono più. Questi figli di un dio minore, dimenticati da tutti, sono gli studenti che vorrebbero seguire le lezioni. Sono i professori, i ricercatori, i presidi, i rettori che in questi giorni vorrebbero continuare a fare il loro lavoro. Vuoi perché difendono la riforma della scuola di Mariastella Gelmini e il modo

La non-notizia

Il New York Times che si schiera con Barack Obama è la classica non-notizia da sparare grossa per gli italiani gonzi e ignoranti, nella speranza che non sappiano cosa è il quotidiano in questione. Come se i giornali statunitensi avessero ritenuto una notizia il fatto che Repubblica si fosse schierata per Veltroni.

Veltroni, la piazza, la scuola: intervista a Brunetta

di Fausto Carioti Tornano le occupazioni e i picchetti. Il partito democratico cavalca la protesta di studenti e insegnanti e si prepara a sfilare in piazza sabato prossimo. Renato Brunetta, ministro della Pubblica Amministrazione, gongola: «Forza Veltroni, forza D’Alema, forza Pd». E perché mai? «Perché più vanno avanti così, più chance abbiamo noi di governare ancora per decenni». Dove è che sbagliano? «Semplice: sono fuori sincrono rispetto al Paese. Il Paese, che è coinvolto dalla grave crisi internazionale, preoccupato per il mantenimento dei posti di lavoro e dei livelli di reddito e di benessere, non ha alcuna voglia di conflitto, di sterili proteste di piazza, dei soliti centri sociali, dei bamboccioni protestatari e ignoranti e dei baroni opportunisti che usano questi bamboccioni per mantenere i loro privilegi. Il paese non ha bisogno di questa gente». Cosa c’entrano Veltroni e il Pd con la protesta di piazza contro la riforma Gelmini? «È il Pd che, attraverso la C

Difendiamo la Costituzione: chiamiamo i celerini

Silvio Berlusconi ha detto che intende usare la polizia per impedire occupazioni e picchetti nelle università. Walter Veltroni, per queste parole, gli ha dato del “provocatore”. Un’uscita, quella di Veltroni, che si spiega solo con la malafede. Qui non c’entra lo Stato forte. C’entra la Costituzione italiana, quella che a sinistra trattano come un muftì tratta il Corano. La Costituzione tutela il diritto (che è cosa diversa dall’“obbligo”) allo sciopero (articolo 40). Ma tutela anche il diritto al lavoro (articolo 4), che in questo caso è il diritto di professori e personale non docente a entrare nelle scuole e negli atenei per lavorare, senza che i picchetti degli squadristi rossi lo impediscano. E tutela il diritto e l’obbligo all’istruzione (articolo 34), che nel caso in questione diventa il diritto dello studente che non aderisce allo sciopero a entrare regolarmente in classe. Dove stia la “provocazione” nel voler far rispettare la Costituzione, difendendo tutti i diritti che quest

E sotto la ciliegina, 59 reattori nucleari

In inglese si chiama "cherry picking". E' l'abitudine, molto paracula, di prendere la ciliegina dalla torta ignorando tutto il resto. Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, non sa l'inglese, ma fa fa cherry picking lo stesso. Succede che Nicolas Sarkozy frena il tentativo italiano di allentare gli insostenibili vincoli europei sulla riduzione delle emissioni di gas serra. A Ferrero non pare vero. Acchiappa la ciliegina al volo e scrive sul suo blog (e invia alle agenzie di stampa ) la seguente dichiarazione : Il presidente francese Sarkozy ha ragione, sul clima, e Berlusconi ha torto. Il presidente di turno dell’Unione europea ha spiegato proprio oggi, davanti al Parlamento europeo, che non vi è nessuna ragione perché la crisi economica modifichi gli impegni dell’Europa sul clima, il contrario della proposta italiana, sempre più isolata, in Europa. A parte la commozione nel vedere un comunista dire che un esponente di destra ha ragione, resta da vede

Crisi d'identità

Sembra Giovanni Cobolli Gigli, ma è Walter Veltroni. L'ultima uscita del segretario del Pd è che, senza il suo appoggio, Antonio Di Pietro non vincerà mai alcuna elezione amministrativa . Dichiarazioni buone per l'ultimo dei cespugli, non per il partito erede del Pci e della Dc. Qualcuno dotato di pazienza e parole semplici spieghi a Veltroni che è lui quello che deve puntare a vincere le elezioni, e gli alleati minori sono quelli che debbono aiutarlo nell'impresa. Non viceversa.

Ma gli accordi europei sul clima andavano stracciati prima

di Fausto Carioti Le crisi economiche un lato positivo ce l’hanno: obbligano i governi, le imprese e le famiglie a concentrarsi sulle cose essenziali, lasciando da parte le menate. La rivolta di Silvio Berlusconi e del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia contro i costosissimi accordi europei per ridurre le emissioni di anidride carbonica e i consumi di energia si spiega proprio così: è la presa d’atto che si stavano per buttare via soldi preziosi. A viale dell’Astronomia hanno stimato in almeno 20 miliardi di euro l’anno il prezzo che dovranno pagare le imprese italiane per raggiungere gli obiettivi dell’accordo “20-20-20”, chiamato così perché prevede che entro il 2020 i Paesi europei producano il 20 per cento della loro energia da fonti rinnovabili, migliorino del 20 per cento la loro efficienza energetica (in altre parole riducano i consumi di un quinto) e taglino del 20 per cento le emissioni di anidride carbonica. A livello europeo, l’esborso previsto per le aziende è di

Il lupo non c'è più

di Fausto Carioti Crederci è stato bello. Ma l’idea che a guidare la Francia ci fosse un conservatore liberale che si comporta come tale, e non come il sommo sacerdote del compromesso (tipo Jacques Chirac, per capirsi) era troppo rivoluzionaria per essere vera. Le ultime illusioni sono appena tramontate: Nicolas Sarkozy, lo strano gollista atlantista che si era fatto eleggere all’Eliseo promettendo la «rupture», il taglio netto con i suoi imbalsamati predecessori, non c'è più. L’uomo che nel maggio del 2007 il filosofo André Glucksmann votò e paragonò a «un grande lupo cattivo» per la sua capacità di fregarsene del politicamente corretto e dividere l’opinione pubblica, sembra essersi accucciato felice. Ora, con la sua decisione di non estradare in Italia la terrorista rossa Marina Petrella - condannata all’ergastolo per l’omicidio del commissario Sebastiano Vinci, per l’attentato al vice questore Nicola Simone e per il sequestro del giudice D’Urso - Sarkozy è riuscito a farsi appl

Pubblico & Privato

Tutti in coro a dire che lo Stato ha salvato il mercato, che senza l’intervento pubblico il libero scambio era morto, che quindi il pubblico è meglio del privato, che ora nulla sarà più come prima e così via a ruota libera. Solo un appunto: i soldi che alcuni governi hanno messo sul piatto per sostenere certe società private non li ha prodotti la pubblica amministrazione. Li ha prodotti il mercato. E’ il mercato che crea la ricchezza, non il pubblico. Il pubblico toglie una parte di questa ricchezza al privato e la usa per i propri fini (che il più delle volte sono legati a logiche politiche e clientelari). Se per una volta parte di quei soldi tornano al settore privato, che li ha prodotti, proprio non si vede in cosa consista la superiorità dell'intervento statale sull'economia di mercato. 

Guerra tra poveri a sinistra

di Fausto Carioti Per quanto ardite siano le fantasie di Silvio Berlusconi, un’opposizione così va al di là dei suoi sogni. Ieri, ad esempio, sono scesi in piazza l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e quella sinistra che nel resto del mondo occidentale ormai appare solo su History Channel (Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani). Tutti convinti che Berlusconi sia il peggiore essere umano del pianeta, tutti impegnati a gridare che l’Italia è a un passo dalla dittatura. Pur accomunati da un’analisi tanto profonda, i due gruppi si sono guardati bene dallo scendere in piazza insieme: da una parte gli agitatori di manette, con il lodo Alfano nel mirino, dall’altra le panciere rosse, incavolate con la politica economica del governo, al quale imputano il crollo della Borsa di questi giorni e probabilmente anche quello del 1929. Perché gente simile non è scesa in piazza insieme? Semplice, perché presto si vota per le amministrative e per il parlamento europeo, e quello che si è visto ie

Ma ora bisogna tagliare le tasse e allentare i vincoli europei

di Fausto Carioti Silvio Berlusconi ha fatto benissimo, ieri, a dire che proprio questo è il momento in cui bisogna «avere il coraggio di ridurre le tasse e sostenere l’economia reale». La speranza è che ora dia un seguito concreto alle sue parole. Di sicuro, «coraggio» gliene servirà molto. Da un punto di vista contabile, innanzitutto: il Fondo monetario internazionale ha appena annunciato l’arrivo di una «recessione globale» e il governo, come si legge nel testo del decreto approvato mercoledì, si è detto pronto a usare soldi pubblici «anche in deroga alle norme di contabilità di Stato» per «sottoscrivere o garantire aumenti di capitale deliberati da banche italiane che presentano una situazione di inadeguatezza patrimoniale accertata dalla Banca d’Italia». In altre parole, se si vuole rispettare il piano di azzeramento del deficit pubblico, i soldi per tagliare le tasse non ci sono, anche perché le entrate fiscali, nei prossimi mesi, si ridurranno a causa della frenata dell’economia

Carte, scopa, denari, primiera e settebello

E' proprio finita. Quando Valentino Parlato, sul Manifesto di oggi, ti fa un articolo che manco Emilio Fede, per dirti che a Tripoli, il 7 ottobre, «è stata una grande giornata», il "Giorno della lealtà", nel quale si è celebrata «la recente firma del Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione tra Libia e Italia» e che «nella lista degli invitati deputati a ricevere l'onorificenza del "Grande El Fatah" era, al primo posto, il premier Silvio Berlusconi, che ha avuto l'abilità di concludere il recente accordo tra Libia e Italia», e quindi di archiviare definitivamente l'epoca del colonialismo (sottinteso: che Romano Prodi con i suoi governi non era stato in grado di chiudere), vuol proprio dire che la partita è finita, che Berlusconi l'ha stravinta e che da queste parti rischia di non succedere più nulla per i prossimi quattro anni.

Retromarcia: i biocarburanti fanno male al pianeta

Così muore l'ultima smania terzomondista e ambientalista. Pur con qualche imbarazzo, il rapporto annuale della Fao sullo " Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura " mette una bella pietra tombale sui biocarburanti, che sino a poco tempo fa tante organizzazioni internazionali vendevano ai governi e all'opinione pubblica mondiale come la soluzione equa e solidale al problema dell'energia, in quanto prodotti da fonti rinnovabili. Per non parlare di quelle associazioni ambientaliste, come il Wwf, che sui biocarburanti avevano investito molta della loro credibilità Ora la Fao chiede di rivedere «politiche e sussidi» relativi alla produzione di biocombustibili. L'agenzia dell'Onu per l'alimentazione avverte che, anche se il contributo dei biocombustibili liquidi «rimarrà modesto», la domanda di materie prime agricole (zucchero, mais, semi oleosi) necessarie a produrli «continuerà a crescere nel prossimo decennio, e forse anche dopo, ponendo una pressio

Il mondo secondo Geert

Geert Wilders, olandese, presidente del Partito per la Libertà nonché autore di Fitna , è uno di quei politici che i mainstream media italiani, bene che vada, definiscono «discusso» e «controverso». Ma è raro che succeda: di solito lo chiamano «razzista», esponente dell'«ultradestra» e così via. Modo molto comodo per continuare a non confrontarsi con le questioni che Wilders ha messo in cima alla sua agenda, prima tra tutte l'islamizzazione dell'Europa. Wilders, in realtà, è semplicemente un politico preoccupato dinanzi all'ipotesi che, nel giro di qualche decennio, il chador diventi il capo d'abbigliamento femminile più indossato nel vecchio continente. E' uno che si scandalizza - ma guarda un po' - quando, nella tollerantissima Amsterdam o in altre grandi città del nord Europa, gand di giovani musulmani insultano e picchiano in pubblico gli omosessuali (a questo proposito sul blog di Bruce Bawer , uno dei miei preferiti, trovate materiale per un'encic

L'Italia, la Russia e il Venezuela: la fiera delle cavolate

di Fausto Carioti In principio - qualcuno ricorderà - era il Cile. Due legislature fa, quinquennio berlusconiano 2001-2006: bastava che un no-global impegnato a caricare la polizia prendesse un sacrosanto manganello in faccia per dire che il governo era cileno, gli uomini in divisa erano cileni e Silvio Berlusconi era un po’ più cattivo di Augusto Pinochet. Certo, continuavano a esserci libere elezioni, i giornali d’opposizione erano in edicola tutti i giorni e gli avversari del governo non volavano giù dagli aerei. Ma erano dettagli secondari. È finita come sappiamo: dopo la breve parentesi prodiana il crudele dittatore è stato riportato a furor di popolo a palazzo Chigi. Ora ci riprovano. Capito che il Cile non funziona (e grazie: prendete un under 30, chiedetegli chi era Salvador Allende e sentite cosa vi risponde), hanno ripiegato su paragoni un po’ più alla mano. Adesso l’Italia è come la Russia di Vladimir Putin e il Venezuela di Hugo Chávez. Delle due l’una: o quelli di sinistra

Il problema dei decreti c'è sempre stato e la sinistra ha fatto ben di peggio

di Fausto Carioti Difficile prendere sul serio Walter Veltroni che si atteggia a leader dell’opposizione di un Paese a democrazia limitata. Il segretario del Pd grida al golpe strisciante perché il governo lascia al parlamento solo le briciole dell’attività legislativa. In un’intervista all’Espresso, si spinge a negare a Silvio Berlusconi il diritto di farsi eleggere al Quirinale come ogni altro cittadino. Ma uno come lui, quando lancia simili allarmi non può essere credibile. Per almeno due motivi. Primo: quello che sta facendo il governo attuale sul piano legislativo lo hanno fatto tutti i governi degli ultimi decenni. Durante la scorsa legislatura, nei primi 365 giorni del governo Prodi, furono approvate in Parlamento solo 36 leggi: ben 22 di queste, cioè il 61%, erano conversioni di decreti legge fatti dal governo. Tanto che Gennaro Migliore, capogruppo rifondarolo alla Camera, a un anno dall’insediamento del governo lamentava «il ricorso esagerato alla decretazione d’urgenza». Lo